Carlo Giuliani: il caso è aperto. Un omicidio archiviato, i misteri del 20 luglio

Renato Farina, la fonte Betulla del Sismi smascherata dall’indagine su Abu Omar, era lì ma non vide nulla, non ricorda nulla. «C’era un’atmosfera terribile, di silenzio assoluto e grave costernazione, recitai un requiem – sospira Farina-Betulla, assai dimesso in questi giorni – ma non ricordo altro». Si può pensare che il Sismi, oltre a violare la legge, pagando Farina buttava anche i soldi. Perché «Betulla» era in piazza Alimonda, uno dei tre giornalisti ammessi nelle vicinamze del corpo di Carlo Giuliani, alle 17,38: undici minuti dopo gli spari. In quegli attimi il 23 enne genovese esanime a terra potrebbe essere stato colpito alla fronte, è uno degli elementi su cui lavora l’avvocato Ezio Menzione, per riaprire il caso, archiviato nel 2003 dalla magistratura: legittima difesa e uso legittimo delle armi.
La mattina del 20 luglio Farina aveva scritto su Libero un pezzo intitolato «Oggi botte domani di più», per dire che «oggi sarà il giorno del morto, solo un miracolo può scongiurare questo evento». Il 21 luglio, a miracolo mancato, aveva ricordato: «Sono due mesi che Libero scrive: ci sarà il morto, lo vogliono». Lo aveva detto anche Gianfranco Fini, vicepremier.
«Quelle considerazioni erano il frutto delle mie personali analisi – dice oggi – e della sensazione che ci fosse nell’aria qualcosa di pericoloso e grave, ma non sono venuto a saperlo da nessuna informativa segreta». I suoi articoli, i rapporti dei servizi – fino agli impossibili palloncini di sangue infetto – farebbero invece pensare male: «Alcuni ragazzi videro Toni Capuozzo (giornalista del tg5 ndr) e gli dissero di correre, che c’era un morto: la verità è questa». Ricordi, nuovi dettagli sulla situazione della piazza, non ne ha. Capuozzo e il suo operatore ripresero la scena: il vicequestore che rincorreva un manifestante gridando «l’hai ucciso tu col tuo sasso».
Le novità su piazza Alimonda sono arrivate dal processo ai 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio, nel quale sono stati ascoltati i funzionari e gli ufficiali coinvolti. Su questi elementi e su nuove testimonianze si basano le indagini della famiglia Giuliani, che fanno sperare nella riapertura del caso: «In autunno auspichiamo di poter presentare alla procura il fascicolo », spiega l’avvocato Ezio Menzione. E’ prevista anche una simulazione in piazza Alimonda con un defender, «per dimostrare l’impossibilità di uno sparo verso l’alto». Chissà se un pm si farà carico di fare un processo. «Altrimenti – conclude Menzione – il nostro lavoro sarà utile alla commissione parlamentare d’inchiesta».
Gli elementi emersi hanno consentito di ricostruire i momenti che portarono alla morte di Carlo: l’impasse di piazza Alimonda dopo una sciagurata carica dei carabinieri in via Caffa, un errore di valutazione del vicequestore Adriano Lauro, quello del «bastardo l’hai ucciso tu, con il tuo sasso», oggi dirigente del commissariato Esquilino di Roma, che seguiva il contingente di carabinieri, con a capo l’allora capitano, oggi maggiore, Claudio Cappello, ufficiale paracadutista. La carica venne respinta, la fuga fu disordinata e il defender si bloccò contro il cassonetto. Dopo gli spari, entrano in scena il sasso, la ferita «a stella» che compare sulla fronte di Carlo e più in generale la raffazzonata opera di cristallizzazione della piazza da parte delle forze dell’ordine. Il sasso ha vita propria: appare infatti vicino a Carlo solo dopo che le forze dell’ordine hanno «bonificato» la piazza. Poi scompare, per riapparire, insanguinato, a fianco al corpo nelle foto della scientifica. Durante il suo esame nelle aule genovesi Adriano Lauro ha riconosciuto la pietra: l’avrebbe vista al fianco di Carlo, mentre i sanitari toglievano il passamontagna.
La difesa ha mostrato in aula le foto che dimostrano, invece, che in quel momento il sasso non c’era. Ha detto Menzione: «La prospettiva della difesa è che uno dei suoi uomini ha colpito con la pietra in fronte Carlo Giuliani, e lei per coprirlo ha dato la colpa ai manifestanti, mettendosi a gridare». L’ipotesi del sasso che devia il proiettile fu inoltre smentita dal medico legale della procura genovese Marco Salvi, che fece l’autopsia: «lo sparo apparve diretto e non deviato» ha affermato nelle aule genovesi.
Non solo, Salvi specificò che la tac cui fu sottoposto il corpo di Carlo Giuliani «evidenziò un frammento radio-opaco nel cranio del ragazzo», frammento «assolutamente metallico» che però non venne trovato in sede di autopsia. Peccato, un vero peccato, perché forse la chiave di tutto, in relazione alla deviazione e alla presunta legittima difesa, sta lì.