Caritas: «Senza i migranti per l’Italia sarebbe un disastro»

E’ straniero un nuovo assunto su 6, il 15% di chi ha acquistato una casa nell’ultimo anno e un neopatentato su quattro. Il 91% dei migranti possiede un cellulare, oltre la metà è riuscito a comperarsi un’automobile e il 22% un computer. Lo rivela l’ultimo dossier Caritas/Migrantes sull’immigrazione regolare in Italia (dal titolo “Al di là dell’alternanza”, un monito alla politica che si accapiglia sulla pelle dei migranti), così completo e attendibile che alla presentazione ha voluto partecipare Romano Prodi.
I migranti regolari hanno raggiunto quota 3.035.000, ossia il 5, 2% della popolazione italiana. Un dato che conferma ormai l’Italia come grande Paese di immigrazione, in coda solamente a Germania (7.287.980), Francia (3.263.186) e Spagna (3.371.394), superando persino la Gran Bretagna (2.857.000).

Il numero di stranieri cresce al ritmo di 300mila l’anno, nel 2016 saranno 6 milioni, ossia il 10% della popolazione. Per il curatore Franco Pittau è evidente che si tratta di un fenomeno strutturale da cogliere nei suoi aspetti positivi; «un’opportunità e una benedizione» per un’Italia condannata alla morte demografica e lavorativa se non fosse appunto per la presenza sempre più massiccia dei migranti. Entro il 2020 infatti ci saranno 3.200.000 giovani lavoratori in meno, nel 2050 per ogni lavoratore ci sarà un anziano da accudire. Un destino che verrà corretto grazie anche al tasso di fecondità delle straniere: 2,4 figli a testa, il doppio delle italiane. Nel 2005 i bambini nati da genitori stranieri sono stati 52mila, ossia il 9, 4% delle nascite, e 187mila gli arrivi regolari.

I migranti, poi, sono in media più giovani degli italiani: uno straniero su cinque è minorenne. Nei prossimi due anni gli studenti non italiani sfioreranno il mezzo milione, ossia il 4,8 dell’intera popolazione studentesca.

Da dove provengono? Ogni 10 stranieri, 5 sono europei, 2 africani, 2 asiatici e 1 americano. Le comunità più numerose sono la rumena (11,9%), l’albanese (11,3%) e la marocchina (10,3%), seguite da quella ucraina (5,2%), cinese (4,9%) e filippina (3,4%). Ma le nazionalità presenti sono addirittura 150, a conferma che nessuna comunità straniera può vantare una supremazia numerica o culturale. In quanto a religione, quasi la metà degli stranieri è cristiano, un terzo è musulmano.

Che l’Italia non sia più un Paese di transito ma una meta stabile lo dimostran il fatto che 1 milione e 200mila stranieri possiedono una carta di soggiorno e che quindi vivono qui da almeno 5 anni. Ma anche il 52, 7% di migranti sposati e le 100mila persone che sono giunte in Italia per i ricongiungimenti famigliari. La maggior parte si stabilisce al Nord (59,9%), mentre il 27% sceglie il Centro e il 13, 5% il Sud. Le province a più alta densità sono Prato (12,6%), Brescia (10, 2%) e Roma (9,5%), seguite da Pordenone, Reggio Emilia, Treviso e Firenze.

«Stiamo parlando di nuovi cittadini», osserva Pittau, «non di estranei che ci fanno concorrenza. Se non ci fossero, sarebbe un disastro». E lo dimostrerebbero i 20 miliardi di euro incassati ogni anno dall’Inps grazie ai lavoratori stranieri. Lavoratori dinamici, visto che si adattano alle varie condizioni lavorative (il 27, 4% è impiegato nell’industria, il 16, 1% nelle imprese e il 13, 6% nell’edilizia), e visto che 130.969 cittadini stranieri sono titolari di un’azienda (+38% rispetto allo scorso anno). Ottima la partecipazione sindacale: 526mila i lavoratori iscritti, circa il 10% del totale.

Secondo il dossier, 8 migranti su 10 affermano di aver migliorato la propria condizione di vita in Italia. E diventano consumatori di cellulari, macchine, computer. Il problema più sentito è quello dell’alloggio. Il 72% vive ancora in affitto. Le difficoltà sono varie: 6 migranti su 10 vorrebbe il diritto al voto, e molti si lamentano per la lentezza burocratica nell’ottenimento della cittadinanza. L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali nel 2005 ha raccolto 867 casi di razzismo. Non c’è da stupirsi. Il 40% degli italiani continua a credere che gli immigrati portino delinquenza, eppure solo un decimo delle denunce penali riguardano cittadini stranieri. «Occorre distinguere i migranti stabilmente presenti sul territorio dalle organizzazioni criminali», puntualizza Pittau. La Caritas giudica «lodevoli» le azioni del governo Prodi nei confronti dell’immigrazione, ma critica la mancanza di risorse (50 milioni di euro nella Finanziaria, una cifra che lo stesso Prodi giudica insufficiente), la farraginosità della burocrazia per i permessi di soggiorno e la cittadinanza, la scarsa partecipazione sociale e politica dei migranti e la mancanza di una normativa organica sul diritto all’asilo politico.

Prodi non manca di rispondere, punto per punto. A cominciare dal giudizio sul fenomeno: «è strutturale, e come tale investe le energie di tutto il governo, non solo dei ministeri direttamenti competenti». E allora via libera alla cittadinanza più veloce (che il ministro Amato vuole abbassare a 5 anni), «perché non è un problema solamente etico o politico, ma anche una necessità». Ma, ripete più volte, solo per chi conferma di rispettare le nostre regole. Poi: «studieremo un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro» (da affiancare al sistema dello sponsor caro al Viminale) e «stabiliremo quote di ingresso più realistiche e su base triennale». La preoccupazione del premier va all’imminente ingresso di Romania e Bulgaria nell’Ue, a partire dal gennaio 2007. Paesi come la Gran Bretagna e l’Inghilterra hanno già annunciato di non aprire le frontiere a rumeni e bulgari, e Prodi ammette che «la situazione è complicata». L’immigrazione va risolta in sede europea, continua il primo ministro. L’Italia, conclude, può solo puntare sull’attrazione di migranti qualificati (ricercatori, studenti), sul recepimento delle direttive europei sui ricongiungimenti famigliari, sulle risorse da destinare alle politiche abitative e sull’integrazione scolastica degli stranieri.