Carceri, i sindacati chiedono chiarezza

L’ipotesi di una rete di spionaggio parallela e illegale nelle carceri italiane, gestita in modo piramidale dal capo dell’ufficio ispettivo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria pubblicata ieri non viene smentita dagli uffici di largo Daga. Ma il muro di gomma innalzato sulla vicenda non impedisce ai sindacati di polizia e alle forze politiche di chiedere al ministero di fare la necessaria chiarezza sulla vicenda.
I maggiori sindacati di polizia penitenziaria (Fp Cgil, Fp Cisl, Uil Pa, Osapp, Uspp e Siappe) hanno diffuso ieri un lungo comunicato unitario per sgombrare il campo da possibili strumentalizzazioni sulla nuova rete di spionaggio. Una nota congiunta infatti chiede ai nuovi responsabili di via Arenula di avviare quanto prima un tavolo di confronto che «anche a tutela del personale», inizi «ad individuare soluzioni capaci di rispondere alle esigenze di professionalità, funzionalità e totale trasparenza anche in materia di organizzazione dei servizi istituzionali».
«Siamo agenti di polizia come tutti gli altri e già da tempo svolgiamo funzioni di polizia giudiziaria sotto il coordinamento della magistratura – rilevano i sindacati – c’è il rischio che senza chiarezza i cittadini maturino un’idea sbagliata del compito gravosissimo che svolgiamo». Il malessere dei 44mila agenti italiani è più che diffuso. L’opacità dell’amministrazione, la ristrettezza delle risorse e le voci ricorrenti su un clima interno ai vertici saturo di sospetti non contribuiscono a sanarlo. Il contesto è tale che ormai si preferisce parlare solo dietro garanzia di anonimato: «Siamo allo sbando e non accettiamo che si parli di noi solo quando ci sono le disgrazie». I racconti degli operatori sono concordi: l’aumento dei carichi di lavoro e il blocco del turn over del personale impediscono un lavoro sereno, ne è prova l’aumento delle richieste di passare ai ruoli civili. Con i tagli al comparto mancano perfino i soldi per la benzina, tanto che spesso i servizi di scorta operano al di sotto delle norme di sicurezza.
Tutto ciò mentre il giro di vite previsto dalla Cirielli, gli effetti perversi della Bossi/Fini e della nuova legge sulle droghe non conoscono crisi. Il Dap ha comunicato proprio ieri che nei 207 penitenziari è stato raggiunto ad aprile il numero record di 61.392 reclusi: il picco più alto da 15 anni a questa parte. In pochi mesi la sola Cirielli ha portato dietro le sbarre 3mila persone in più, mentre i detenuti extracomunitari sono ormai il 40% del totale. E’ necessario voltare pagina. «Le ultime notizie confermano l’esigenza di fare chiarezza – afferma il presidente di Antigone Patrizio Gonnella concordando seppur da postazione diversa con l’allarme dei sindacati – proprio per questo l’avvicendamento ai vertici del Dap è un’occasione che non può andare sprecata. Per il carcere quelli passati sono stati anni di scarsa trasparenza, mentre è ineludibile garantire al meglio la funzione rieducativa della pena, con la quale non c’entrano nulla meccanismi di controllo diffusi e illegali».
Dello stesso avviso le forze in parlamento. Giuseppe di Lello, magistrato e neosenatore del Prc, avvisa: «Fra i compiti istituzionali della polizia penitenziaria non c’è quello di svolgere attività di intelligence. Le uniche intercettazioni legali sono quelle disposte dalla magistratura per ipotesi di reato specifiche». Di Lello esclude risolutamente anche collegamenti legittimi con il 41bis. L’interpellanza presentata alla camera da Graziella Mascia (Prc) trova nuova linfa: «Le sollecitazioni che arrivano dai sindacati rafforzano la necessità di un’interlocuzione politica e di un dialogo pubblico e trasparente sul tema del carcere e di una nuova giustizia». Mentre Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla camera, chiede al ministero di aprire subito un’indagine: «Se le notizie fossero confermate saremmo di fronte a fatti inquietanti e intollerabili per un paese civile, un servizio segreto autonomo, creato all’insaputa dei ministri competenti e in assenza di governo è un fatto di una gravità inaudita. Bisogna fare piena luce».