Lo scandalo delle prigioni segrete della Cia in Paesi europei – definite in codice “siti neri” e dove i “sospetti terroristi” di Al Qaeda vengono sottoposti a tortura, secondo le rivelazioni del “Washington Post” – si avvia a diventare un vero e proprio affare internazionale: dopo le proteste e le richieste di spiegazioni dei governi di Germania e Gran Bretagna, ora è stata la volta dell’Unione
europea ad avviare «verifiche informali» e di «carattere tecnico» per accertare la verità; con l’avvertenza che se le rivelazioni del “Post” risultassero confermate si renderebbe inevitabile l’adozione di sanzioni nei confronti dei Paesi dell’Ue che si sono prestati alle
operazioni della Cia. Lo ha detto in modo chiaro il vice-presidente della Commissione europea Franco Frattini, dichiarando che «abbiamo il dovere morale di accertare la verità» e che «se ci saranno prove positive (delle rivelazioni del “Post” ndr) abbiamo il dovere morale di formulare proposte di gravi conseguenze». Finora i Paesi su cui pende questa minaccia sono la Polonia e la Romania, la prima entrata nell’Unione il 1° maggio 2004 e la seconda in lista di attesa per il 2007. Ben diverso il caso della Germania, i cui aeroporti sono stati utilizzati dagli “aerei fantasma” della Cia all’insaputa del governo e delle autorità nazionali.
Ma è proprio studiando le rotte di quei voli che l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha individuato i due Paesi sopra
citati, in quanto si è accertato che gli aerei della Cia –mascherati da aerei di società private sono atterrati sia all’aeroporto di Szy-many, vicino al quartier generale dei servizi polacchi, sia a quello militare di Kogainiceanu in Romania.
Proteste, polemiche e richieste di spiegazioni che investono Washington, e specificamente la Casa Bianca, e che promettono di
movimentare l’imminente viaggio in Europa del segretario di Stato Condoleeza Rice, ma di fronte alle quali risalta in modo clamoroso il silenzio del governo italiano (tanto più clamoroso se pensiamo alle parole di Frattini), che evidentemente non rinuncia al suo ruolo di “primo della classe” nel rapporto con l’Amministrazione Bush.
Si tratta evidentemente di uno scandalo che investe direttamente la politica e la strategia dell’Amministra-zione nella cosiddetta
“guerra infinita contro il terrorismo” e costituisce un ulteriore sviluppo e un aggravamento dei precedenti scandandali di Guantanamo, di Abu Ghraib e così via dicendo. Ad essere chiamata in causa è insomma la mortificazione (a dir poco) della
democrazia rivelata da tali comportamenti e già documentata dalle “leggi speciali” adottate negli Usa a scapito dei diritti umani; e dunque viene in questione anche il modello di democrazia che Bush e soci pretenderebbero di esportare con le armi in Medio Oriente, ma evidentemente – in modi diversi – anche in Europa. E su questo gli alleati dell’America non possono tacere. Dicevamo che ad essere investita direttamente, trattandosi della Cia, è la Casa Bianca, mentre gli scandali di Guantanamo e di Abu Gh-raib
chiamavano in causa il Pentagono; e Bush è dunque in grave imbarazzo. Si assicura che verranno date spiegazioni, si nega che sia stata praticata la tortura (cosa che il “Post” invece documenta) e la Rice in una intervista in preparazione del viaggio in Europa si è arrampicata sugli specchi dicendo che la guerra contro il terrorismo ha «delle necessità» alle quali gli Usa devono far fronte «per proteggere non solo se stessi ma anche gli amici e alleati» e aggiungendo che certi criminali devono essere arrestati «prima che commettano il crimine» per salvare vite innocenti; parole che assumono inevitabilmente il senso di una ammissione indiretta. Tanto
più che le rivelazioni del “Post” hanno preso le mosse da una iniziativa, oltretutto maldestra, del vicepresidente Cheney il quale era in-tervenuto sul Congresso per chiedere che una norma in discussione tesa a proibire il trattamento «crudele e inumano» dei prigionieri in mani Usa fosse modificata per garantire una “esenzione” alla Cia; anche qui poco meno che una vera e propria
confessione sull’uso della tortura. L’emendamento contro la tortura ha ottenuto il sostegno di 90 dei 100 membri del Senato; uno di loro ha detto che «la tortura è sempre ingiustificabile, gli Stati Uniti stanno perdendo l’autorità morale di poter dare agli altri Paesi lezioni in termini di diritti umani». Si comprende così benissimo perché, dopo il governo tedesco anche il ministro degli Esteri britannico Straw abbia scritto una lettera direttamente a Bush e perché l’Unione europea abbia avviato una indagine sia pure “informale”. «L’esistenza di prigioni segrete non è compatibile con la Carta dei diritti fondamentali della Ue», ha affermato Roscam Abbing, por-tavoce del vice-presidente Frattini, aggiungendo che la questione dei “siti neri” riguarda in primo luogo il Consiglio d’Europa e la Con-venzione europea sui diritti dell’uomo, nonché la Convenzione dell’Onu contro la tortura. «Dobbiamo verifi-care
quando avremo finito le nostre verifiche vedremo il da farsi». Sta di fatto che i Paesi che avessero accettato di ospitare le carceri segrete avrebbero commesso una “grave violazione” e sarebbero sottoposti a sanzioni a cominciare dalla sospensio-ne del diritto di voto nel Consiglio. Il “Post” nel suo articolo non ha pubblicato, pur conoscendoli, i nomi dei Paesi in questione, tutti del-l’Est
europeo, per non met-tere in pericolo «la vita di agenti americani impegnati nella lotta al terroristmo»; si è parlato, oltre alla Polonia e alla Romania, anche di Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, ma da tutte queste capitali è arrivata, come era da attendersi, una raffica di smentite. L’ultima parola comunque spetta alla indagine europea.