Guido Cappelloni, marchigiano, comunista, pezzo significativo della storia del Pci e del Prc, ottant’anni compiuti oggi, è un bel signore coi capelli bianchi e il sorriso accattivante, venato di ironia. Il ritratto (veritiero) di un uomo amante della vita e curioso del mondo. Presidente, per la terza volta, del Collegio nazionale di garanzia fa il suo lavoro con fermezza senza dogmatismi, muovendosi con invidiabile serenità fra le cento beghe del nostro partito. La serenità di chi ne ha viste tante e ha sempre ritenuto normale agire secondo la coscienza di comunista e pagare di persona le sue scelte.
Nato a Macerata il 9 agosto 1925, iscritto al Pci a 19 anni, fa una lunga gavetta nelle campagne mezzadrili del dopoguerra: contro le “regalie” di polli, uova, frutta, dovute al padrone che il partito fa deviare su ospedali, ricoveri, ofanotrofi; contro le disdette dei poderi, bruciate sulla piazza dei paesi; per convincere i capi famiglia a mandare i figli a scuola, vinta con l’argomento indiscutibile di mettere i giovani in grado di controllare i conti del fattore sulla ripartizione dei raccolti. Prende la laurea in giurisprudenza che gli servirà per verificare i contratti operai e poi fondare l’Istituto per lo sviluppo economico delle Marche. Intanto è consigliere comunale e poi provinciale di Ascoli Piceno, segretario della federazione e del Comitato regionale. Chiamato a Roma entra a far parte del Comitato centrale con l’incarico di responsabile del settore ceti medi e cooperazione e poi di Tesoriere nazionale: ruoli scomodi ai quali si aggiungono i guai legati alla sua personalità intransigente di comunista “senza se e senza ma”. Molti anni dopo Guido dichiarerà di aver avuto i primi dubbi sulla linea politica del Pci nel 1976, appena eletto alla Camera, una linea (che sarà prevalente) che «tendeva a privilegiare la presenza nostra nelle istituzioni e subordinava la lotta e il movimento delle masse alle alleanze politiche», una scelta dalle conseguenze disastrose «perché il Pci ha sempre più perso di vista il suo obiettivo di fondo e cioè la trasformazione socialista della società capitalistica». Conseguentemente coi suoi dubbi, che si accentuano con le dichiarazioni di Berlinguer sulla Rivoluzione d’Ottobre e sulla Nato, Guido partecipa all’esperienza di Interstampa e della Associazione culturale marxista, vota gli emendamenti di Cossutta al Congresso dell’83 e paga il prezzo della sua scelta. Un prezzo alto di emarginazione, accuse, mancata ricandidatura al Parlamento, esclusione dal Comitato centrale, che Guido affronta con dignità, senza cedere a gesti plateali, restando e lavorando nel partito di cui ormai ha chiara la “mutazione genetica”, pur senza abdicare mai alle sue idee. Dal Pci uscirà, dopo averne firmato l’atto di nascita insieme a altri sei delegati, al 20° Congresso, mentre Occhetto annuncia la nascita del Pds. Il resto è storia di ieri: tesoriere del Prc, presidente del Consorzio sardo di sostegno alle piccole e medie imprese, poi presidente del Collegio di garanzia dopo un’altra scelta di coerenza: il rifiuto della scissione del Pdci.
Forse è stata ed è proprio questa naturalezza con la quale ha affrontato le scelte e i loro prezzi a tener lontano Guido Cappelloni dallo stereotipo di burocrate, a mantenerlo un uomo libero al quale la passione politica non impedisce di apprezzare i bei viaggi e le buone letture, la compagnia degli amici e le tante sorprese che la realtà riserva a chi sa guardarsi intorno. Anche a ottant’anni e oltre.