Caos Iraq, in soli quattro mesi rapiti 20mila iracheni

Il Parlamento iracheno, eletto ormai 4 mesi fa, si riunirà forse oggi. Il condizionale è d’obbligo dal momento che nessuno a Baghdad da per certo il fatto che l’assemblea si terrà veramente. Un dato, diffuso ieri a Karbala da un’associazione che raggruppa un centinaio di Ong (di orientamento sciita) la dice lunga sulle condizioni di sicurezza nel paese arabo.
Dal giorno delle elezioni (15 dicembre) in Iraq sono state rapite 19.548 persone. Nella sola Baghdad 9900 persone sono morte assassinate, vittime di sequestri e attentati. Sono state perse le tracce di 2300 bambini. Il dato è stato forse «piegato» alle esigenze degli sciiti di dimostrare che è necessario un accordo di governo, ma appare realistico se si somma il numero di vittime che quotidianamente appare nei bollettini di guerra. Mesi di guerra civile strisciante stanno devastando il tessuto sociale e la pulizia etnica sta dilagando. L’Iraq assomiglia sempre più a quei paesi africani attraversati da esodi interni e dilaniati da interminabili conflitti. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’immigrazione sono ormai 60mila gli iracheni che hanno abbandonato le loro abitazioni per sfuggire alle violenze etnico-religiosa. Vi sono famiglie (3600) che hanno abbandonato le zone più pericolose ed hanno trovato ospitalità a Baghdad, altre (5mila), in massima parte di fede sunnita, che hanno lasciato le regioni del sud dominate dagli sciiti, altre ancora (2500) che si sono spostate dalle province del nord e dell’est. Spostamenti sono frequenti anche all’interno della capitale dove i quartieri stanno diventando «etnicamente puri» e le zone miste, popolate cioè sia da sunniti che da sciiti, sono diventate ormai una rarità. Squadre della morte alle dipendenze di capi fazione di danno battaglia compiendo orribili delitti. Ieri il dipartimento della sicurezza, che dipende dal ministero dell’Interno a guida sciita, ha diffuso una notizia che in breve ha fatto il giro del mondo. Secondo le informazioni diffuse a Baghdad due commando composti da uomini armati erano penetrati in altrettante scuole della capitale.
Due maestri erano stati decapitati davanti agli allievi. Successivamente però sia il comando americano che i dirigenti della polizia irachena hanno smentito in modo risoluto questo episodio.
L’Iraq insomma sta precipitando nel vortice della guerra civile. Le residue possibilità di evitare un nuovo bagno di sangue sono legate alla faticosissima e interminabile trattativa per la formazione del nuovo governo. Per oggi è appunto stata convocata l’assemblea parlamentare. I negoziatori avrebbero raggiunto un accordo sull’assegnazione di alcune cariche istituzionali, ma non tutte. Il curdo Talabani manterrebbe in questo quadro la carica di presidente della Repubblica, mentre quella di speaker del Parlamento verrebbe assegnata da un sunnita. Resta però lo scoglio di non poco conto della nomina del premier. Al Jaafari, nonostante l’opposizione di curdi e sunniti, di gran parte degli sciiti, degli Usa e degli inglesi, ha ribadito anche ieri che non intende farsi da parte.
I veri scogli sui quali da mesi si è incagliata la trattativa riguardano tuttavia i ministeri della Difesa (attualmente diretto da un sunnita moderato) e degli Interni, oggi a guida sciita. Controllare i due dicasteri significa dirigere le forze di polizia e l’esercito che i sunniti accusano di essere la «longa manus» degli ayatollah sciiti. Oggi si vedrà se è stato raggiunto un accordo dell’ultima ora. Anche l’inviato dell’Onu Ashraf Qazi è sceso in campo e ieri a Najaf ha tentato di convincere i capi sciiti a cedere alcune poltrone per evitare la guerra civile.