Camp Darby, un’improvvisa trasparenza

Operazione maquillage della base con alle spalle «Stay behind», «Gladio» e, forse, «Moby Prince». Anche grazie alla Giunta di centrosinistra

Dopo che il Comitato per lo smantellamento e la riconversione a fini esclusivamente civili di Camp Darby ha promosso un incontro pubblico con le amministrazioni locali di Pisa e Livorno e diffuso un questionario tra la popolazione, il comandante Steve Sicinski ha «aperto» la base alla stampa per «chiarire tutto sulla nostra attività». A poche ore dall’arrivo in Europa del segretario di stato Usa Condoleezza Rice arrivata per una chiamata di correo verso i governi europei sui voli-galera della Cia. Una vicenda che, è bene ricordarlo, riguarda sia gli scali europei sia lo status della basi Usa nella Vecchia e, ora, Nuova Europa. Sicinski ha anzitutto assicurato che nella base vi sono «solo armamenti e veicoli convenzionali». Non ha però detto che Camp Darby è l’unico sito dell’esercito Usa in cui il materiale preposizionato (carrarmati M1, Bradleys, Humvees, etc.) è collocato insieme alle munizioni. «Siamo una base logistica tra le più grandi in Europa – ha sottolineato Sicinski – e siamo ben collegati a tutto il mondo: la vicinanza di aeroporto, porto e autostrada ci facilitano il lavoro». Non c’è da dubitarne: da qui è partita gran parte degli armamenti, compresi proiettili a uranio impoverito e al fosforo («armi convenzionali» per il Pentagono), usati nelle due guerre contro l’Iraq e contro la Jugoslavia.

Il comandante ha quindi assicurato che la base non sarà ampliata e che, anzi, il personale Usa è diminuito. La vera ragione viene spiegata nel rapporto presentato il 9 maggio 2005 dalla Commission on Review of Overseas Military Facility Structure of the United States: le basi Usa in Italia ed Europa costituiscono i «siti operativi avanzati» che, «mantenuti in caldo con una limitata presenza militare statunitense», sono rapidamente «espandibili» per operazioni militari su larga scala in una vasta area comprendente l’Europa orientale, il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Africa.

Non è vero che gli Stati uniti abbiano «deciso di ridurre il loro impegno sulle basi europee», come scrive il presidente della Regione Claudio Martini (Il Tirreno, 2 dic.). Essi stanno in realtà ridislocando le loro forze e basi dall’Europa settentrionale e centrale a quella dell’est, come dimostra l’arrivo ieri della Rice per «aprire» una base militare in Romania. In tale quadro Camp Darby e le altre basi Usa in Italia assumono un ruolo più importante di quello svolto durante la guerra fredda. Appare quindi fortemente limitativo chiedere «un percorso di graduale riconversione affinché la presenza di quella base sia sempre più collegata a iniziative umanitarie, di sostegno alla pace», ossia a «operazioni di peace keeping». Ormai tutte le guerre di aggressione si fanno sotto l’egida del «mantenimento della pace» – come mostra di aver capito il presidente della Sardegna Soru.

Non si possono ignorare i crescenti pericoli derivanti dalla base. Nel 2000 – secondo notizie raccolte da Global Security e mai smentite – a Camp Darby si rasentò la catastrofe: in seguito al cedimento di alcuni depositi si dovettero rimuovere oltre 100mila testate e proiettili esplosivi. Tutto nel più assoluto segreto. Silenzio assoluto anche su quanto emerso dalle inchieste dei giudici Casson e Mastelloni sul ruolo di Camp Darby nella rete golpista costituita dalla Cia e dal Sifar nel quadro dei piani segreti «Stay Behind» e «Gladio»: qui furono addestrati i neofascisti pronti a entrare in azione e conservate le armi per il colpo di stato. Camp Darby ha a che vedere anche con la tragedia del Moby Prince del 10 aprile 1991, in cui perirono 140 persone: quella notte nel porto di Livorno era in corso una operazione segreta di trasporto di armi dirette probabilmente in Somalia (come ben documenta Enrico Fedrighini in “Moby Prince”, ed. Paoline).

Ma chi comanda a Camp Darby? Sicinski ha risposto: «L’Italia ovviamente, noi siamo ospiti». E il colonnello Iubini, comandante italiano della base, ha ribadito: «Camp Darby è territorio italiano a tutti gli effetti». In realtà Camp Darby, come le altre basi Usa in Italia, è inserita nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratta ai meccanismi decisionali italiani. The Shell Agreement – memorandum d’intesa Italia-Usa del 1995 – attribuisce alle autorità italiane compiti relativi alla sicurezza della base, non facoltà di stabilirne l’uso. Quale sia la sovranità italiana su Camp Darby lo dimostra il fatto che, quando Casson e Mastelloni hanno cercato di entrare a Camp Darby per le loro inchieste, i cancelli sono rimasti chiusi.