Calunnie e silenzi. Strada sotto tiro

Un silenzio assordante. E’ l’unica cosa che Emergency ottiene, il giorno dopo aver chiesto al governo italiano di muovere un passo ufficiale per il «suo» uomo, Rahmatullah Hanefi, il mediatore tra italiani e talebani nel sequestro del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e arrestato all’indomani della liberazione del reporter italiano. L’accusa, formulata solo ora dopo settimane di detenzione in un luogo segreto – nessuno l’ha più visto dall’alba dell’arresto, tranne un uomo della Croce rossa – è di essere un fiancheggiatore dei talebani.
Per Emergency, che l’altro giorno aveva chiesto a Prodi e compagni di schierarsi apertamente e pubblicamente tra i servizi afghani e il suo manager all’ospedale di Lashkargah, è stata una mazzata. E per l’intera giornata Gino Strada e i suoi compagni di strada hanno atteso inutilmente una presa di posizione governativa che replicasse alle accuse mosse ad Hanefi da Amirullah Saleh, il potente capo del Nds (l’agenzia di intelligence dell’Afghanistan di Karzai), attraverso un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. «Abbiamo le prove», ha detto Saleh all’inviato del Corriere. Quali, naturalmente, nessuno lo sa. E molti giornalisti afghani (come il direttore dell’agenzia Pajhwok, l’ultima nata e probabilmente la migliore delle centrali d’informazione in Afghanistan) ha detto al manifesto di dubitare fortemente che essere esistano. «Non abbiamo visto prove e non abbiamo nemmeno visto Hanefi», ci ha detto Danish Karokhel (vedi intervista a pagina 5), che ritiene plausibile che Rahmatullah sia stato scelto come capro espiatorio da un governo, quello afghano, che questa vicenda ha scosso profondamente.
Ma la calunnia esplosa dal capo dei servizi afghani ha fatto presa anche in Italia. Il Corriere ha dedicato ampio spazio alle accuse del capo dei servizi afghani. Ma persino l’Unità, il giornale del principale partito del governo italiano, ha cambiato rotta pubblicando una critica «politica» a Gino Strada («Caro Strada, sbagli anche tu» diceva il titolo in prima pagina) e un pezzo di cronaca in cui, citando fonti anonime dei servizi segreti e del militari italiani, ha affermato che «da tempo i servizi di spionaggio di alcuni paesi presenti in Afghanistan guardavano con interesse alla figura di Rahmatullah Hanefi, volevano saperne di più sui suoi contatti e sulla sua rete di rapporti. l’intelligence voleva vederci chiaro e capire se quella di Hanefi è veramente una figura “terza” o invece vi erano rapporti più intensi, con l’organizzazione dei talebani, se si tratta cioè di un soggetto che può essere considerato un fiancheggiatore». E Repubblica, in un lungo editoriale di Ezio Mauro dedicato all’interprete Adjmal decapitato dai talebani (titolato «Uno di noi», lo stesso titolo di una copertina del manifesto di alcuni giorni fa), si destreggia nella morsa tra il dovere di salvare una vita e la sovranità dell’Italia, «l’autonomia della politica occidentale e delle sue scelte».
Insomma se Emergency sperava in un appoggio del governo italiano, o del centrsinistra, o dei mezzi d’informazione, ha ricevuto esattamente il contrario: critiche, attacchi, legittimazione delle venefiche accuse costruite dagli 007 afghani.
La risposta dell’organizzazione umanitaria è stata affidata a un comunicato pubblicato dall’agenzia Peacereporter. «Amirullah Saleh – scrive Emergency – è ancora più del presidente Karzai, espressione di Washington. Era lui, infatti l’ufficiale di collegamento tra Washington e l’alleanza del Nord di Massud. Saleh era l’anello di una congiunzione mai avvenuta tra la Cia e il principale avversario dei talebani allora al potere a Kabul». Descritto l’accusatore, l’organizzazione di Strada passa alle sue accuse: le parole di Saleh, per Emergency, «costituiscono una conferma inquietante della nostra preoccupazione che fosse in atto, attraverso l’illegale sequestro di Rahmatullah Hanefi ad opera dei servizi afghani, una operazione contro Emergency. Una ritorsione su destinatari impropri per l’esito del sequestro Mastrogiacomo, che ha comportato la liberazione di cinque detenuti, concordata tra Hamid Karzai e Romano Prodi». E le tracce dell’operazione anti-Emergency sono visibilissime in Afghanistan, dove l’ospedale di Kabul è stato piantonato da agenti armati per tutto il giorno e in quello di Lashkargah mezzo staffi si è dimesso per timore di essere arrestato.
Critiche in Italia, attacchi in Afghanistan. Oggi lo staff di Emergency dovrebbe riunirsi per decidere se restare o meno. Non sarà una decisione facile.