Call center, Poste finge di assumere i precari

Il gesto è simbolico, un’operazione di immagine. Nulla più. Il ministro del lavoro Cesare Damiano e l’amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi hanno annunciato ieri la regolarizzazione dei sedici lavoratori precari del call center del ministero, gestito in appalto dalla Spa pubblica. «L’avvio di un graduale percorso d’emersione voluto dal governo», secondo il ministro, che lo scorso 15 giugno aveva varato una circolare che imponeva l’assunzione con contratti subordinati solo per i telefonisti dell’inbound (quelli che ricevono telefonate). Perchè, ha ribadito ieri il ministro, coloro che lavorano nell’outbound (campagne di mercato) non sono lavoratori subordinati, ma autonomi: “operai” condannati ad essere pagato a cottimo, a sommare l’insicurezza della presunta “autonomia” al controllo di un padrone, alla disciplina di fabbrica che si subisce nelle 250 mila postazioni dei centri telefonici italiani. Damiano, comunque, prosegue il percorso iniziato, annuncia l’avvio da settembre di una capillare campagna di ”accompagnamento e persuasione“, utile a spiegare dolcemente alle imprese che la precarietà va bene, ma senza esagerare. Poi, da dicembre, scatteranno le sanzioni. Prima di allora, però, il ministro convocherà le principali aziende appaltatrici, molte delle quali pubbliche (grandi comuni, Italgas, Enel, Alitalia ma anche Vodafone e Telecom), a cui probabilmente chiederà di fermare la cattiva prassi degli “appalti al massimo ribasso”, utili a produrre risparmi che saranno pagati poi dai lavoratori precari.
I sedici telefonisti “deprecarizzati” ieri avevano sostituito 30 lavoratori subordinati, licenziati lo scorso dicembre, quando il ministero (allora c’era Maroni) aveva assegnato l’appalto del proprio call center a Poste Italiane. Un’azienda pubblica, cioè. Ma capace di assumere il peggior volto delle imprese private che si scontrano per la conquista dei ricchi appalti pubblici dell’e-government, i sistemi di comunicazione della Pubblica Amministrazione. Poste Italiane è una delle più grandi aziende di questo settore, capace -anche grazie ai vantaggi derivati dal suo essere pubblica- di dare del filo da torcere anche ai più agguerriti competitor privati, tra cui la Cos di Alberto Tripi, proprietario di Atesia. Oltre al proprio PosteRisponde oggi Poste Italiane gestisce decine di grandi centri telefoni, assegnati da enti pubblici come Inps, Inail, Consip, Enel, Comune di Roma e Firenze. 1600 lavoratori impegati a tempo indeterminato, poche altre centinaia «saranno regolarizzate nelle prossime settimane nei call center Inail, Insip, Consip e Enel», come ha affermato ieri l’Ad Sarmi. La regolarizzazione c’è già stata nel call center di Reggio Calabria, come racconta Liberazione di martedì 1 agosto, ma solo dopo un’aspra vertenza nella quale l’azienda non si era fatta scrupoli a licenziare giovani attivisti sindacali e donne rese “poco produttive” dalla gravidanza. Rimarranno precari, invece, i 200 lavoratori dello 060606 di Roma, interinali “somministrati” a Poste da Ali e Adecco. Loro, infatti, sono a tutti gli effetti lavoratori subordinati, non cocoprò, e dunque la loro “poco pubblica” azienda potrà continuare a rinnovare ogni 6 mesi il loro contratto, come succede ormai dal 2003. Lo stesso accadrà ai lavoratori a tempo determinato di Bnl, altro call center romano di Poste. Casi che dovrebbero ricordare a Damiano che non solo i cocoprò sono precari, che la legge Biagi istituisce molti altri escamotage per lo sfruttamento del lavoro. Non saranno toccati dall’“indulto” di Poste sponsorizzato dal ministro neppure i lavoratori di Bitritto, in provincia di Bari. Qui Poste Italiane si è aggiudicata l’appalto dei call center di Inail e Inps. E ha subito subappaltato la commessa a decine di piccoli call center (tra questi i più conosciuti sono Omnia Network e Intouch), dove si lavora con contratti a progetto.

Solo pochi esempi, che stimolano una domanda: come mai una grande azienda pubblica, che gestisce in regime di monopolio servizi pubblici, decide di investire in un settore dove le pessime condizioni di lavoro si sommano ai ricchi ricavi? «Abbiamo posto più volte questa domanda a Poste Italiane, senza mai ricevere risposta. In particolare l’azienda si rifiuta di discutere con noi un protocollo sugli appalti. Senza un accordo questo tema certamente non firmeremo il prossimo contratto aziendale», dichiara Emilio Miceli, segretario dell’Slc Cgil. Soddisfazione viene espressa dal Nidil per le assunzioni al Ministero. Il sindacato deli “atipici”, però, chiede l’apertura di un tavolo triangolare. «Per le aziende dell’outbound, purtroppo, la circolare del ministro non cambia nulla, la vita dei collaboratori rimane le stessa. Certo, si tratta di un passo in avanti, ma non ancora sufficiente», afferma la segretaria del Nidil Rossella Ceramelli.