Call center, la Cgil blocca l’accordo firmato con Confindustria

I call center ancora al centro dello scontro tra maggioranza e minoranze della Cgil. Nel direttivo nazionale di ieri Lavoro e Società, la Rete 28 Aprile e la componente di Rinaldini hanno duramente criticato l’avviso comune firmato il 4 ottobre da Cgil, Cisl e Uil e da Confindustria, in attuazione della circolare del 14 giugno del ministro del Lavoro Cesare Damiano. Alla fine, su proposta di Epifani, la discussione è stata rinviata al prossimo direttivo, dedicato specificatamente al lavoro precario. Ma fino ad allora le funzioni dell’avviso comune, firmato dal segretario confederale Nicoletta Rocchi, saranno sospese. Così come rimarrà congelata la circolare inviata a tutte le Camere del lavoro in cui si invitava a dare il via ai tavoli negoziali. Al prossimo direttivo, poi, le tre componenti della sinistra sindacale chiederanno la revoca della firma che, come sostiene Dino Greco, segretario della Camera del Lavoro di Brescia, «sminuisce l’impegno della Cgil nella lotta alla precarietà».
Sullo sfondo rimane la contrastata circolare del ministro Damiano, che distingue tra le telefonate in uscita (outbound) e in ingresso (inbound): nel primo caso, secondo il ministro, si può parlare di «lavoro genuinamente autonomo», mentre nel secondo dovranno avviarsi tavoli negoziali per la “stabilizzazione”. Una distinzione già smentita ad agosto dagli ispettori del lavoro che hanno costretto Atesia al pagamento dei contributi pregressi per 3200 lavoratori e all’assunzione a tempo indeterminato di tutti i telefonisti. Ma, nonostante ciò, ribadita con nettezza all’interno dell’avviso comune. Dunque la circolare di Damiano per gran parte della Cgil non può essere accettata. Perché, come afferma Dino Greco, «se l’outbound è definito anche dal sindacato lavoro autonomo, allora siamo alla caricatura della lotta alla precarietà». Insomma, dietro la vicenda dei call center si nasconde un dibattito ben più ampio: quello sul futuro della legge 30, che sarà affrontato subito dopo la finanziaria in un tavolo con il governo e le parti sociali.

«Dire stabilizzazione non equivale a dire lavoro subordinato, né lavoro stabile» afferma Eliana Como, della Rete 28 Aprile. «Il rischio è che ai cocoprò si sostituiscano altri contratti precari, come già accaduto nell’Atesia di Roma lo scorso maggio». Allora la Cgil firmò un accordo che prevedeva ben 1100 contratti di apprendistato, più di quanto possibili anche per la legge 30.

Sotto accusa, nell’avviso comune, anche la misura che prevede un fondo in Finanziaria per il pagamento dei contributi previdenziali pregressi agli ex cocoprò che saranno stabilizzati. Dietro questa misura, infatti, si nasconde anche un salvagente per quelle imprese, come l’Atesia di Alberto Tripi, riconosciute colpevoli di assunzioni irregolari e costrette al pagamento dei contributi pregressi. «Siamo contrari ai condoni, le aziende responsabili di un abuso dei cocoprò dovranno pagare», afferma il coordinatore di Lavoro e Società Nicola Nicolosi. Ma per le imprese non c’è solo questo regalo, nell’avviso comune: le aziende che assumeranno con contratti a tempo indeterminato potranno beneficiare anche del credito d’imposta. «E’ una proposta inaccettabile, perché si premiano con fondi pubblici le aziende che negli scorsi anni hanno abusato dei contratti parasubordinati» afferma Daniele Canti, della Rete 28 Aprile. Secondo l’avviso comune, infine, i sindacati stabiliranno «i tempi entro cui formalizzare la proposta di assunzione in un quadro che definisca ogni reciproca pretesa al pregresso». Cioè sarà oggetto di trattativa, dunque, anche il diritto di un lavoratore di citare in giudizio e chiedere il pregresso salariale e contributivo al proprio datore di lavoro.