Occasioni per dissentire non mancheranno.Ma non possiamo non apprezzare il fatto che, anche ieri, ilministro degli esteri Massimo D’Alema difendendo gli interessi del nostro paese abbia rinnovato la sua esplicita accusa all’Amministrazione Bush: «Avremmo voluto e vorremmo maggiore collaborazione da parte degli Stati uniti sull’accertamento della verità sull’uccisione di Calipari e sull’accertamento processuale delle verità». Lo aveva già detto a Condoleezza Rice incontrandola a Washington, dove aveva anche chiesto la chiusura del carcere di Guantanamo. Ma averlo ribadito ieri è perfino più importante. Perché è il giorno dopo l’incriminazione da parte della magistratura italiana del soldato americanoMario Lozano, responsabile dell’uccisione di Nicola Calipari, con una accusa inedita quanto rilevante: «Oggettivamente è un omicidio politico» perché lede l’interesse dello stato italiano, impegnato con i suoi servizi di sicurezza in una iniziativa politica e di intelligence a salvare l’ostaggio italiano, Giuliana Sgrena. Era l’unica motivazione – nessun’altra lo avrebbe consentito – che può ora dare la possibilità di un processo anche in contumacia, vista la legislazione Usa che, alla faccia del diritto internazionale, autoassolve i soldati statunitensi impedendo la processabilità-estradabilità di qualsiasi marine accusato di omicidi e stragi, figurarsi di «delitti politici». Al governo italiano – dal quale arrivano segnali non di fumo – vorremmo solo domandare di essere conseguente: bene chiedere la chiusura di Guantanamo, ma perché continuare allora a stare in Afghanistan, come dichiara il ministro Parisi, nella stessa logica di guerra che alimenta Guantanamo? E se l’assassinio di Nicola Calipari non è un incidente da «semplice» fuoco amico, né un fatto privato, ma appunto un «delitto politico» che ha leso gli interessi dello stato italiano, che aspetta il governo a costituirsi in giudizio contro l’uccisore? Ben sapendo che non è più solo dello «sconvolto»Mario Lozano – dichiarano i suoi commilitoni – che stiamo parlando,ma di ben altre responsabilità «politiche» impegnate a contraddire a Baghdad la già difficile missione di Nicola Calipari.