Dopo la messa fuorilegge del Ksm (l’organizzazione dei giovani comunisti della Repubblica Ceca), colpevole di aver inserito testi di Marx e Lenin nel proprio sito internet e proclamato il concetto di “abolizione privata dei mezzi di produzione” nel proprio programma, ora tocca al Munkaspart (Partito Comunista dei Lavoratori d’Ungheria), accusato di “diffamazione pubblica”. E così secondo il Codice Penale ungherese il presidente del partito Gyula Thürmer ed altri sei membri del Presidium del Munkaspart rischiano fino a due anni di carcere.
I capi d’accusa sono davvero sorprendenti: quello che la magistratura ungherese considera “diffamazione pubblica”, consiste in una semplice dichiarazione del gruppo dirigente del Munkaspart fatta durante una conferenza stampa, secondo cui la decisione del Tribunale di Budapest di invalidare una loro risoluzione, con la quale si espellevano alcuni membri dal partito, somigliava più ad una sentenza politica che giuridica. È bastato questo per far partire una causa intentata a tutto il gruppo dirigente magiaro che rischia così l’arresto.
Se ciò avvenisse, non solo sarebbe in aperta violazione con l’art. 61 della Costituzione ungherese, che concede a chiunque la libertà di esprimere la propria opinione, ma rappresenterebbe un grave vulnus democratico nel cuore dell’Europa.
È sorprendente la concomitanza tra i partiti oggetto di indagini giudiziarie (con motivazioni tutte legate alle loro opinioni politiche o al loro orientamento ideologico) con il fatto che questi ultimi si siano battuti contro decisioni giudicate importanti dell’establishment nazionale o europeo. Il Ksm viene messo fuorilegge dopo essersi distinto, insieme a tutto il Partito comunista Ceco-Moravo, nella battaglia contro l’istallazione di una base radar statunitense sul proprio territorio, mentre il Munkaspart viene colpito dopo essersi reso protagonista, negli ultimi anni, di una battaglia contro la privatizzazione del sistema sanitario, arrivando ad indire una referendum in cui due milioni di cittadini si sono espressi contro questa scelta del governo ungherese, in linea coi dettami dell’Unione Europea. Colpisce pure la strana coincidenza che vede le azioni giudiziarie prendere corso a pochi mesi dalle elezioni.
Naturalmente i media italiani non hanno parlato affatto di questa situazione (così come non hanno parlato del referendum chiesto da due milioni di cittadini europei contro le privatizzazioni e nemmeno della lotta antimperialista condotta contro le basi militari Usa anche nei luoghi della “nuova Europa”), così per iniziativa di Rifondazione Comunista ben 31 senatori hanno firmato una interrogazione parlamentare a risposta orale diretta al Presidente del Consiglio ed al Ministro degli Esteri in cui, oltre ad informare il Governo sui fatti ungheresi, si chiede di mettere in atto iniziative efficaci, affinché il governo magiaro garantisca i diritti civili e democratici, internazionalmente riconosciuti, a tutti i cittadini. Oltre ai senatori di Rifondazione l’interrogazione è firmata da Manuela Palermi, capogruppo PdCI-Verdi, Silvana Pisa e Piero di Siena di Sinistra Democratica, Silvana Amati dell’Ulivo, Bulgarelli dei Verdi e Franca Rame dell’Idv.
L’Europa pronta a bacchettare sui diritti paesi terzi e lontani, dovrebbe forse occuparsi più e meglio delle garanzie del dissenso e della piena partecipazione alla vita democratica al suo interno.