Bush torna a New Orleans un anno dopo: a mani vuote

«Ce la faremo. Tutti insieme ce la faremo», diceva ieri mattina nel municipio di New Orleans Ray Nagin, da poco rieletto sindaco, nella cerimonia per ricordare il primo anniversario della tragedia chiamata Katrina. Un po’ più in là, nella chiesa di St. Louis, George Bush e la moglie Laura cantavano inni religiosi, chinavano il capo e accendevano candeline per onorare i morti. Poco prima i tre avevano fatto colazione assieme nella Betsy’s Pankece House, un caffè rintanato nel downtown disastrato più o meno come un anno fa, dove il corteo presidenziale aveva faticato non poco a districarsi fra macerie che nessuno si è mai curato di portar via, lampioni caduti che nessuno ha rimesso in piedi ché tanto la corrente elettrica non arriva e mucchi di rifiuti che i pochi tornati nelle loro case lasciano speranzosi sui cigli delle strade ma nessuno si cura di ritirare.
Da Betsy a un certo punto c’è stato anche un siparietto. Bush, cercando di farsi largo tra la piccola folla che le sue guardie del corpo stentavano a tenere a bada, ha tagliato la strada a una cameriera e lei lo ha apostrovato: «Che fa, signor presidente, mi volta le spalle?». Lui è rimasto un attimo interdetto e poi ha replicato: «No, signora. Non questa volta». Un modo «alla Bush» di riconoscere la lentezza (chiamiamola così) della sua reazione alla tragedia.
Un anno fa, per fargli capire che ciò che stava accadendo a New Orleans era una cosa terribilmente seria l’ex capo del suo staff Andrew Card decise di assemblare in un dvd i servizi delle varie emittenti televisive e lo costrinse a guardarlo. Poi, tramortito dall’esecrazione pressoché generale e per mostrare che lui si preoccupava eccome, Bush si ingaggò in un buffo andirivieni fra Washington e New Orleans (otto viaggi in due settimane) facendo tante promesse e il tutto fu riassunto – con un discorso in una Jackson Square trasformata in studio televisivo – in tre «idee forza»: esonero fiscale per i piccoli imprenditori; un programma di scuole, di riqualificazione professionale e di asili per consentire di trovare presto un lavoro a coloro che lo avevano perduto e una distribuzione di appezzamenti di terreno a chi voleva costruirsi una nuova casa con le proprie finanze o attraverso dei programmi di prestiti a basso interesse.
Solo la prima, quella degli esoneri fiscali, ha funzionato. Le altre non hanno mai preso quota, proprio come i «numeri» dei sondaggi, che ancora ieri hanno ribadito il malcontento popolare nei confronti di Bush: il 67% degli interpellati. A New Orleans oggi vive meno della metà della popolazione che c’era prima dell’uragano. Ci sono almeno 250.000 persone disperse in tutto il resto degli Stati Uniti. Alcune hanno trovato una sistemazione altrove aiutati da parenti a amici, altre sono ancora raggruppate negli alloggi di fortuna e altre si sono smarrite chissà dove. I rimasti, o i ritornati, sono quelli che vivevano nelle poche zone della città rimaste indenni perché collocate in alto e quelli che avevano i mezzi per provvedere da soli a riparare le loro case. Inutile dire che sono in gran parte benestanti e in grandissima parte bianchi.
Bush, nel discorso che ha pronunciato ieri ha concesso qualcosa ai problemi reali. «Capisco che la gente non sa ancora come tornare a casa, che sente parlare degli aiuti e si chiede dove siano. Lo capisco benissimo», ha detto. Ma dopo quella concessione è riaffiorato il Bush dei «continui progressi» in Iraq. «Il mio messaggio alla gente di qui – ha detto – è che noi capiamo che molto lavoro deve ancora essere fatto. Questo è un anniversario che non segna la fine ma l’inizio di quello che sarà un lungo recupero. Ma io sono compiaciuto da questa opportunità. Sono compiaciuto dalla speranza che sento qui». Nel pomeriggio era previsto un incontro con esperti e amministratori locali per rendere più «operativo» questo ritorno di Bush a New Orleans.