Bush salta sui migranti

È saltato tutto. La legge sull’immigrazione non si è fatta e nessuno sa se e quando si farà: bisogna vedere cosa succederà nelle due settimane di vacanza scattate ieri, durante le quali i senatori saranno impegnati a tastare il polso ai propri elettori. Ted Kennedy e John McCain, gli autori del progetto di legge bipartisan che prometteva di passare, hanno recitato insieme una specie di de profundis leggendo davanti ai giornalisti alcuni brani del libro dell’altro Kennedy, quello ammazzato a Dallas, che racconta l’America come «una Nazione di emigranti». Altri hanno cercato di consolarsi col fatto che comunque, anche se il Senato avesse approvato quella legge, il lavoro da fare per «armonizzarla» con quella già passata alla Camera (costruzione di un muro di mille chilometri lungo la frontiera con il Messico, messa fuori legge – e quindi passibilità di deportazione – di quegli undici o dodici milioni che si trovano negli Stati Uniti senza permesso di lavoro, punire quelli che li assumono e quelli che prestano loro assistenza) sarebbe stato talmente difficile che chissà cosa ne sarebbe uscito fuori.
Ma perché, esattamente, è saltato tutto all’ultimo momento? Le responsabilità vengono ovviamente rimpallate fra repubblicani e democratici. I primi dicono che i loro avversari hanno preferito fare in modo che la legge non passasse per arrivare alle elezioni con i repubblicani in veste di «uomo cattivo»; i secondi se la prendono soprattutto con Bill Frist, il leader dei senatori repubblicani, che prima ha firmato il progetto di legge bipartisan e poi non ha fatto nulla per portarlo avanti. Tecnicamente parlando, quella che si è verificata è stata una disputa procedurale: chiedere all’aula del Senato di votare semplicemente sì o no alla legge così come era uscita dall’accordo di compromesso o lasciare ai singoli senatori la possibilità di presentare degli emendamenti?
Secondo i democratici, consentire la presentazione degli emendamenti significava aprire le porte a un boicottaggio di fatto che avrebbe bloccato la legge, cosicché Frist sarebbe risultato «amico» di entrambe le «anime» repubblicane, a beneficio della sua intenzione di ottenere la nomination del suo partito per il 2008; secondo i repubblicani i «numeri» per sconfiggere gli eventuali emendamenti peggiorativi c’erano, ma i democratici hanno preferito così, sperando di fare proprio il voto ispanico a novembre. La legge mancata era partita da una proposta estremamente «generosa»: legalizzazione per quei milioni di «illegali» fino al raggiungimento della cittadinanza americana e accoglimento legale di ulteriori 400.000 immigrati ogni anno, il tutto «mitigato dal varo di misure per controllare meglio le frontiere. Poi, per arrivare all’accordo bipartisan, quell’idea iniziale era stata diluita nella divisione degli immigrati «illegali» in tre categorie: quelli negli Stati Uniti da almeno cinque anni, per i quali sarebbe stato avviato il processo di legalizzazione; quelli che si trovano qui da meno di due anni, che avrebbero dovuto semplicemente tornarsene al loro paese e presentare da lì una regolare «domanda»; e quelli «intermedi», fra i due e i cinque anni, per i quali era previsto lo status di «lavoratori ospiti», cioè l’idea di George Bush di farli stare qui per un certo periodo e poi rispedirli via.
Ora, le possibilità di riprendere il discorso dopo la vacanza sono decisamente tenui perché ci sono altre cose urgenti da fare – prima fra tutte la legge sulle spese annuali – che si sono accumulate. Ma la cosa non è impossibile, dicono quelli che puntano alla legge. Tutto dipenderà dalle «pressioni» che i senatori riceveranno durante queste due settimane. I diretti interessati, cioè gli immigrati «illegali», hanno già programmato la ripresa a partire da domani delle loro manifestazioni che hanno sorpreso tutti per ampiezza e determinazione. Cortei sono previsti in ben sessanta città, e a Washington in decine di migliaia sfileranno fino alla Casa Bianca. Ma non è detto che bastino.