Bush nega i fondi alla commissione d’inchiesta sull’11 settembre

Fin dal 1995 i servizi segreti dei paesi occidentali sapevano del progetto Boijnka, termine jugoslavo per indicare un «grande botto». Il progetto prevedeva il dirottamento di aerei commerciali per attaccare strutture civili negli Stati Uniti. Dal 1996 le scuole di volo americane vennero messe sotto controllo. Negli anni successivi la minaccia viene tenuta sempre ben presente. Il 2001 scorreva e gli allarmi si intensificavano, servizi segreti, russi e francesi in particolare ma anche egiziani, allertavano gli americani, e fin dall’estate ambienti dell’intelligence americana erano convinti che un attacco terroristico fosse imminente. «Il 5 luglio il coordinatore nazionale per l’antiterrorismo alla Casa Bianca, R. A. Clarke, convocò tutte le agenzie che operavano per la sicurezza nazionale e dette loro istruzione di intensificare i controlli, in vista di un imminente attacco» (New York Times del 3/10/01, riportato da Ahmed, Guerra alla libertà, Fazi editore 2002, p. 76). Sorveglianza intensificata, scuole di volo monitorate, rete spionistica Echelon allertata, i giorni passavano e l’allarme cresceva. Zacarias Moussaoui, militante islamico che i servizi segnalano come seguace di Bin Laden, è arrestato il 16 agosto da agenti dell’Fbi di Minneapolis che poi segnalano l’imminenza di un attacco terroristico nella parte sud di Manhattan. Anche Mohamed Atta era sotto sorveglianza – noti erano infatti i suoi acquisti di prodotti chimici per la fabbricazione di bombe – ma nel 2001 entrava e usciva dagli Stati Uniti senza problemi con un visto turistico scaduto. Nei giorni immediatamente antecedenti l’11 settembre allarmi molto specifici giungono ai servizi. L’addetto alla sicurezza presso l’aeroporto di San Francisco consiglia vivamente al sindaco di non viaggiare in aereo. A Salman Rushdie, che vive sempre sotto sorveglianza speciale, dal 3 settembre le autorità britanniche impediscono di prendere voli interni in Canada e negli Stati Uniti. Il 10 settembre un gruppo di alti funzionari del Pentagono cancella un viaggio per il giorno successivo per motivi di sicurezza. Nello stesso giorno una nota interna di una società giapponese raccomanda ai suoi dipendenti di evitare edifici del governo americano. Intanto sui mercati finanziari vengono registrati ingenti movimenti speculativi su azioni della United Airlines, della American Airlines e di alcune aziende che occupano uffici nelle Torri Gemelle. L’anomalia di questi movimenti indica che sicuramente esisteva un gruppo di speculatori che sapeva di un imminente attacco. Va tenuto presente che i servizi di sicurezza tengono sempre sotto sorveglianza questo tipo di movimenti finanziari e che la rete Echelon controlla costantemente i mercati, anche per ricavarne indicazioni circa la possibilità di azioni terroristiche. Tra le 7.45 e le 8.14 dell’11 settembre quattro aerei decollano da Boston, Dulles, Newark. Attorno alle 8.20 è chiaro che, per la prima volta nella storia, quattro aerei sono contemporaneamente dirottati. Alle 8.45, mentre Bush è in visita ad una scuola elementare, avviene il primo schianto sulla Torre Nord. Alle 9.03 la seconda Torre è colpita. Bush ne è informato, ma non interrompe la sua visita che prosegue fino alle 9.30 quando si decide a rilasciare una dichiarazione dove informa i suoi concittadini di quello che hanno appena visto in televisione. Dunque quattro aerei sono dirottati, e mentre due di questi colpiscono edifici civili il presidente degli Stati Uniti, che ha la responsabilità di decidere dell’eventuale abbattimento di aerei commerciali, continua tranquillamente, per decine di minuti, a chiacchierare con i bambini di una scuola elementare! A 16 km dal Pentagono c’è una base dell’Air Force il cui compito è proteggere lo spazio aereo di Washington. Procedure automatiche estremamente dettagliate definiscono le azioni da intraprendere in situazioni di emergenza più o meno gravi. Evidentemente 4 dirottamenti e due schianti sulle Torri di New York non vennero considerate gravi emergenze, dato che solo dopo le 9.40, cioè dopo oltre un’ora dall’inizio dell’emergenza, alcuni aerei militari decollano da quella base per controllare lo spazio aereo di una delle aree più attentamente sorvegliate del mondo. Successivamente è stata fornita una seconda versione dei fatti, secondo la quale alle 8.56 due F-15 sarebbero decollati da un’altra base militare posta a 290 km da Washington e sarebbero giunti sul luogo dopo le 10, troppo tardi quindi, a disastro già avvenuto, ma non è dato sapere come mai degli aerei che possono viaggiare a 2.400 km/h abbiano impiegato un’ora per percorrere meno di 300 km. L’aereo proveniente da Dulles abbandona il suo piano di volo alle 8.46. Il transponder, che segnala la sua posizione, viene spento dai dirottatori alle 9. Un aereo dirottato che spegne il transponder, un attacco terroristico pienamente evidente, una base a 16 km dal Pentagono con due squadriglie costantemente in assetto da combattimento, ma, come già visto, nessuno si muove. L’aereo rimane comunque visibile sui radar fino alle 9.35 quando, pur guidato da piloti addestrati in scuole per Piper e Cessna o su simulatori di volo, compie una discesa di 2.500 metri e, secondo la versione ufficiale, quasi radente al suolo alle 9.40 si schianta su una facciata del Pentagono. Tutto il mondo ha negli occhi l’immagine del devastante impatto degli aerei sulle Torri. Ma quello che precipita sul Pentagono viene inghiottito dall’edificio lasciandosi dietro un foro di circa 6 metri. La facciata dell’edificio crolla dopo quasi un’ora per un incendio scoppiato all’interno, nel corso del quale l’aereo evapora senza lasciar traccia di sé. Il muso dell’apparecchio riesce comunque a perforare altri due edifici, lasciandoli intatti e fuoriuscendo tramite un buco di 2.30 metri di diametro dai contorni un po’ anneriti (le foto sono pubblicate da T. Meyssan, Il Pentagate, Fandango libri, 2002). Qualcosa non torna….. Non solo l’America, ma tutto il mondo dovrebbe essere interessato a capire cosa è veramente successo l’11 settembre, ma, come nota il New York Times del 28 marzo, mentre la nazione è in guerra Bush è ossessionato dal problema della segretezza dei documenti. Con un ordine esecutivo la Casa Bianca ha infatti aumentato le possibilità per la Cia di sottrarre documenti alla declassificazione, e considera segreto qualsiasi materiale ricevuto da governi stranieri, a qualsiasi titolo. Inoltre il vicepresidente Cheney viene investito dal potere di decidere sulla segretezza di questo genere di documentazione. Con questi provvedimenti Bush pone un ulteriore freno all’accesso del pubblico alle informazioni, ulteriore anche rispetto all’Usa Patriot Act del 26 ottobre 2001 che, sulla scia dell’11 settembre, impose una radicale inversione di tendenza rispetto al Freedom Information Act del 1974, sempre considerato un fiore all’occhiello della democrazia americana in quanto garantiva a tutti la possibilità di controllare attività e documenti governativi. Ma non basta. Il New York Times del 31 marzo e l’International Herald Tribune del giorno successivo lanciano l’allarme: la Casa Bianca nega i fondi per il funzionamento della commissione d’inchiesta sui fatti dell’11 settembre che proprio il 31, dopo un anno e mezzo da quegli eventi, si riunisce per la prima volta. Quindi all’America che spende 400 miliardi di dollari per la difesa, che prevede di spenderne 75 per la guerra all’Iraq, e che ne spende 30 per la mantenere una rete di intelligence costituita da 13 agenzie, Bush vorrebbe negare 14 milioni di dollari per capire come mai 3000 persone possano perire in quel modo. Certo, Ahmed, per il volume già citato da cui ho tratto parte della ricostruzione di cui sopra ha lavorato gratis. Moltissimo materiale, documenti e interviste, sono disponibili sulla stampa e su pubblicazioni ufficiali, quindi basta cercarli e leggerli. Ma le commissioni d’indagine ascoltano direttamente centinaia di persone e costano, e gli americani spenderanno 40 milioni per indagare sul disastro dello shuttle. Quel documento denominato The National Security Strategy, cioè la cosiddetta dottrina Bush, esprime una strategia totalitaria. Quindi la vera notizia non è che Bush va per la sua strada e perciò boicotta la commissione d’indagine sull’11 settembre, questo è normale. La vera notizia è che nessun giornale italiano, né di destra né di sinistra, ha dato alcun rilievo al fatto. Veniamo informati su tutto, da quello che avviene allo Shuttle nella stratosfera alle sorti del delfino Tacoma utilizzato dagli angloamericani per lo sminamento delle acque dell’Iraq e del quale … in questi frangenti … siamo veramente tutti preoccupati; se ne discute l’opportunità, ma le atrocità compiute sui civili dagli angloamericani compaiono comunque sui teleschermi; ampi stralci di giornali stranieri vengono anche ripresi dalla nostra stampa. Abbiamo quindi l’illusione della completezza dell’informazione, illusione che diviene un fondamento della disinformazione se ci si dimentica di mantenere l’attenzione su di un punto decisivo, cioè sui fatti direttamente e indirettamente connessi a quella svolta nella storia che è rappresentata dall’11 settembre. Perché deve essere chiara una cosa: è falso quel che molti ripetono, cioè che gli Stati Uniti sono in guerra anche per prevenire potenziali attacchi terroristici, come quello dell’11 settembre; troppi fatti indicano invece che l’11 settembre c’è stato per consentire a Bush di portare il suo paese e il mondo verso la guerra. I morti di New York, dell’Iraq e dell’Afganistan quindi, sono vittime non solo dalla stessa logica del terrore, ma anche, in misura notevole pur non del tutto chiara, dalla stessa mano.