Bush libera mille detenuti per il sì sunnita

Alla disperata ricerca del via libera alla nuova Costituzione etnico-confessionale, gli Usa scarcerano ex «terroristi» di Abu Ghraib. Ma il fronte del «no» trova anche nel governo filo Usa

Mille prigionieri iracheni rinchiusi (con altri duemilacinquecento) nella tristemente nota prigione di Abu Ghraib, alla periferia di Baghdad, sono stati improvvisamente liberati nelle ultime ore dall’esercito americano nell’ambito di un estremo tentativo per salvare in extremis la costituzione etnico-confessionale che apre la strada alla divisione del paese in tre entità separate e ne cancella il carattere «arabo». Una costituzione respinta non solo dalla comunità sunnita, esclusa sino ad oggi da ogni discussione, ma anche da vasti settori del movimento sciita, dall’intero arco delle forze che si rifanno al nazionalismo arabo e, nelle ultime ore, anche dal vice presidente Yawar e da se ministri sunniti pro-Usa. L’aver puntato esclusivamente sui partiti curdi e su quelli sciiti al governo e sui loro leader, assenti da decenni dal paese, nel tentativo tutto «neocon», di eliminare l’Iraq dall’equazione mediorentale, appare sempre più in queste ore come una strada senza uscita. Tanto che lo stesso capo di stato maggiore dell’esercito americano, generale Peter Schoomaker, ha paragonato ieri la guerra in Iraq « a mangiare la zuppa con una forchetta: si va avanti piano e si fa un caos». Per salvare la faccia e guadagnare un po’ di tempo, almeno mediaticamente, il presidente Bush -la cui popolarità è scesa negli ultimi giorni al di sotto del 40% – dovrebbe trovare un qualche sunnita disposto a firmare la sua nuova costituzione irachena. Da qui, le mosse degli ultimi giorni: la liberazione dei prigionieri definiti ieri «terroristi» e oggi «non pericolosi» ; la telefonata ad Abdel Haziz al Hakim, leader del partito sciita maggioritario filo-Iran e filo-occupazione, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (lo Sciri) al quale ha chiesto di sfumare le parti della costituzione nelle quali si dà il via libera alla formazione di macro-regioni indipendenti da Baghdad e quelle dove si equipara il Baath al «terrorismo»; ed infine le intense trattative condotte in queste ore dall’ambasciatore Usa Khalilzad con la pattuglia di quindici sunniti moderati, fino ad oggi neppure consultata nel corso dei lavori per la preparazione del testo costituzionale. Un testo scritto in inglese dagli esperti Usa a casa del leader curdo Massoud Barzani, nella «green zone» – sulla falsariga della costituzione provvisoria irachena redatta lo scorso anno dal professore newyorchese Noah Feldman – e poi tradotto in arabo prima di essere distribuito ai parlamentari. La divisione del paese in un nord curdo e in un sud sciita, ricchi di petrolio e un centro sunnita (già preoconizzata dall’istituzione delle «zone di non volo» all’inizio degli anni novanta) con solo la sabbia del deserto, è stato troppo anche per quegli iracheni disposti ad un accordo con gli occupanti.

L’Amministrazione Bush in questo modo non solo non ha convinto i moderati al di fuori del governo ma si è trovata contro anche quei settori della comunità sunnita che si erano schierati con loro, primo tra tutti Ghazi al Yawar – esponente di una importante tribù di Mosul – ex presidente e attuale vicepresidente iracheno. Il dissenso ha sconquassato anche lo stesso governo a maggioranza curdo-sciita di Ibrahim Jafari nel quale quattro ministri sunniti e un vice premier sunnita – sino ad oggi semplice copertura per la politica Usa – hanno rotto gli indugi criticando la nuova costituzione e chiedendo la modifica di ben 13 articolo fondamentali. In un loro comunicato i ministri sunniti sostengono che la Carta dovrebbe ribadire il carattere arabo dell’Iraq, rifiutare ogni criterio etnico- confessionale, rifiutare la divisione del paese. Il documento è stato firmato dal ministro della cultura Nouri Farhan al Rawi, quellaper le donne Azhar Abdel-Karim, quello per gli affari locali Saad al Hardan e dell’industria Osama al Najafi e dal vice premier Abdel Mutlaq al Jouburi.

Nelle ultime ore gli Usa avrebbero sfumato i punti più contestati ma i negoziatori sunniti avrebbero chiesto di nuovo, tra l’altro, la cancellazione dalla Carta costituzionale di qualsiasi riferimento al «federalismo» e al processo di «debaathizzazione» e il rinvio di questi punti al futuro parlamento. Nelle prossime ore la costituzione dovrà essere approvata dall’Assemblea nazionale ed essere poi sottoposta a referendum il prossimo quindici ottobre. Referendum anch’esso già contestato da un vasto fronte sunnita-sciita, riunitosi ieri a Baghdad nella moschea di Um al Qoura, secondo il quale sotto occupazione non ci sarebbe alcuna garanzia di trasparenza e di una corretta gestione della consultazione.