«Spurgato da tutta la retorica, il discorso di George Bush è stato sostanzialmente un mea culpa», ha detto la senatrice democratica della California Dianne Feinstein. «Che per arrivare a questo ci siano voluti una senteneza della Corte suprema, una legge che bandisce la tortura e il pubblico sdegno è semplicemente vergognoso», ha fatto eco la deputata Jane Harman, anche lei democratica della California. Dopo che l’altro giorno il presidente americano Bush ha «rivelato» l’esistenza delle prigioni segrete della Cia, di commenti simili ieri ce ne sono stati a bizzeffe e i cronisti che passano le loro giornate fra Congresso e Casa bianca li hanno diligentemente annotati. Per loro, oltre tutto, c’è stato il tempo per un piccolo rituale. Ogni volta che un cronista arrivava in sala-stampa trovava subito un collega che gli mostrava un foglietto e poi attendeva la reazione. La quale arrivava subito sotto forma di una fragorosa risata: il foglietto era una dichiarazione del portavoce della Casa bianca in cui si spiegava che «l’iniziativa del presidente» non aveva niente a che fare con le elezioni in arrivo.
Chi invece non rideva per niente erano i politici che dalle elezioni si aspettano una conferma del loro posto al Congresso. La mossa di Bush, per scoperta che sia, ha infatti la possibilità di influenzare il dibattito elettorale soppiantando nel rango di «tema numero uno» il problema Iraq con quello della «lotta al terrore», che significa lo sfruttamento, ancora una volta, della «carta del terrore», sicuramente meno efficace di un tempo ma pur sempre meglio di qualsiasi altra. L’altro ieri la Casa bianca – praticamente nello stesso momento in cui Bush stava dicendo che alcuni detenuti delle prigioni segrete erano stati trasferiti a Guantanamo, che nei loro confronti sarebbero state rispettate le norme della convenzione di Ginevra e che le istruzioni che verranno date agli addetti agli interrogatori saranno improntate a un «principio di umanità» – ha fatto pervenire al Congresso una proposta di legge che stabilisce ufficialmente la nascita delle «commissioni militari», cioè quelle che Bush ha creato a suo tempo senza chiedere il permesso a nessuno e che la Corte suprema ha bollato come illegali.
Erano svariate le ragioni della loro illegalità elencate dall’alta corte, ma Bush ne ha accolta solo una: il fatto che le commissioni militari non fossero state create con una legge votata dal Congresso. Ora la possibilità di correggere le cose c’è, ha detto in pratica la Casa bianca. Basta votare la legge da noi proposta. E’ un trucco, naturalmente, perché nella legge presentata le brutture delle commissioni militari che nessun tribunale «normale», civile o militare che sia, contempla, sono tutte ancora lì: contro gli imputati possono essere presentate come prove effettive le informazioni estorte con la tortura, si possono formulare le accuse senza provarle in nome della sicurezza nazionale (in pratica, sei colpevole perché lo dico io) e si prevede anche l’immunità per i torturatori che finora hanno lavorato indisturbati.
I democratici una cosa del genere non possono ovviamente accettarla, né possono farlo personaggi come i senatori repubblicani John McCain, Lindsay Ghraham e John Warner che hanno già presentato una loro proposta di legge sulle commissioni militari che fa a pugni con quella di Bush. Ma il dilemma, come hanno detto un po’ tutti commentato dopo l’uscita di Bush, «non è sui principi ma sulla convenienza elettorale». E’ possibile conciliare la resistenza contro la legge che Bush vuole (i deputati e senatori a lui vicini hano già cominciato a spingere per approvarla prima della chiusura elettorale del Congresso) e la propria rielezione? Se il pubblico si farà di nuovo prendere dalla paura e mostrerà di voler vedere sulla forca i detenuti «di alto profilo» che sono stati trasferiti a Guantanamo, le due cose non si conciliano: o si approva la legge di Bush o si viene sconfitti nel voto. Se invece gli americani rifiuteranno di farsi prendere in giro ancora una volta, non solo resistenza a Bush e rielezione si concilieranno ma addirittura si aiuteranno a vicenda.
Gli ultimi sondaggi (se ne parlava già ieri) mostrano che la gente disposta a credere ancora a Bush diminuisce costantemente, ma la grande «offensiva della paura» della Casa Bianca è appena cominciata.