Bush in paradiso, fiscale

PARIGI

Tempesta sull’Ocse. L’annuale riunione ministeriale, che ha iniziato ieri i lavori e che oggi si terrà alla presenza dei ministri delle finanze (per l’Italia c’è Visco) dei 30 paesi più ricchi del mondo, si sta trasformando in un braccio di ferro Usa-Unione europea. Al centro della polemica, il nuovo voltafaccia di Bush rispetto a un impegno preso da Clinton: la nuova amministrazione non vuole più aderire all’iniziativa dell’Ocse di lotta alla frode fiscale e al riciclaggio del denaro sporco.
Bush non solo paga cosi’ il prezzo della sua elezione ai suoi grandi elettori industriali – l’evasione nei paradisi fiscali non deve essere più perseguita a livello internazionale – ma in nome del “diritto all’investimento” rifiuta ogni intervento contro il riciclaggio. L’Unione europea è costernata, soprattutto dopo aver ottenuto una vittoria al Wto facedo condanare la pratica fraudolenta delle Fsc (Foreing Trae Corporations) statunitensi.
Il ministro delle finanze francese, Laurent Fabius, non ha fatto ricorso alla diplomazia per denunciare la posizione di Bush: spero che “gli Stati uniti continuino la lotta contro l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco, vale a dire il denaro della prostituzione, della droga, dei traffici. Finora, Gli Stati uniti e la Francia erano la punta di lancia di questa lotta. Sarebbe grave se la Francia perdesse l’appoggio degli Stati uniti”. Ultimamente l’Ocse, su pressione dei paesi membri, si era impegnata a codificare una serie di azioni per lottare efficacemente contro i paradisi fiscali – cioè contro il dumpig fiscale che distorce la concorrenza – e contro il riciclaggio.
Il Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale sul riciclaggio dei capitali) aveva stilato una lista di 35 paesi a rischio. Risulta, difatti, che i paradisi fiscali sono poi gli stessi paesi dove il riciclaggio è più facile. La lotta alla truffa generalizzata, nell’ottica dell’Ocse e dei paesi ricchi, aveva un senso per ristabilire le regole della concorrenza ed evitare anche eventuali ripercussioni negative sui mercati di scandali scoppiati qui e là. Ma adesso l’amministrazione Bush vuole rimettere tutto in causa, in nome della “libertà” di investire e di accogliere investimenti. A mettere fuoco alle polveri tra Unione europea e Stati uniti è stata una dichiarazione del segretario al Tesoro Usa, Paul O’Neill, la settimana scorsa: “anche se l’Ocse ha fatto grandi cose, condivido numerose serie preoccupazioni espresse di recente relative alla direzione presa dall’iniziativa dell’Ocse” contro i paradisi fiscali e il riciclaggio”. Aggiungendo: “sono irritato dalla nozione implicita secondo la quale tassi bassi di imposizione fiscale siano per natura sospetti e dalla nozione che ogni paese, o gruppo di paesi, potrebbe interferire nella decisione di un altro paese di organizzare come vuole il proprio sistema fiscale “. Un avvertimento agli europei, che – con grandi difficoltà – cercano l’armonizzazione fiscale nell’Unione, anche se adesso con Berlusconi c’è un nemico di peso a questa scelta.
Insomma, Bush, dopo il voltafaccia sul protocollo di Kyoto e la difesa dell’ambiente, adesso capovolge la politica di Clinton in un altro delicato: quello della finanza internazionale, dove la concorrenza Usa-Unione europea si fa più forte alla vigilia del definitivo passaggio all’euro.