Bush: «In guerra per la civiltà»

«Questo non è uno scontro tra civiltà ma piuttosto una lotta per la civiltà». A dichiararlo è il presidente George W. Bush nel tanto atteso discorso alla nazione per il quinto anniversario degli attentati terroristici dell’11 settembre del 2001. Sono le 21 di lunedì (le 3 del mattino in Italia) e davanti a milioni di persone incollate alla tv, l’uomo più potente del mondo fa un bilancio della «guerra al terrore» che, secondo l’amministrazione repubblicana, deve continuare e deve essere soprattutto vinta.
L’appello all’unità rivolto dal presidente a tanti suoi connazionali è forte. «Combattiamo per mantenere il modello di vita di cui godono i paesi liberi, la nostra nazione è stata messa alla prova e abbiamo davanti a noi una strada difficile». Se la «guerra al terrorismo» non dovesse essere vinta, dichiara ancora l’inquilino della Casa bianca, «lasceremmo i nostri figli a fronteggiare un Medio Oriente sopraffatto da stati terroristi e dittatori radicali armati con armi nucleari». Affermando che la lotta è ancora lunga, pericolosa e dolorosa (come ricordato dal numero crescente di militari statunitensi uccisi in Iraq e Afghanistan) Bush ha aggiunto: «Abbiamo di fronte un nemico determinato a portare morte e sofferenza nelle nostre case. Non abbiamo voluto noi questa guerra e ogni americano, come me, vorrebbe che fosse finita. Ma non è così e non lo sarà finché non ci sarà un vincitore, o noi, o gli estremisti».
Nella giornata del ricordo e del dolore, il popolo americano si ritrova unito dalla paura e dall’incertezza di un futuro sempre più pericoloso. Quest’anno però all’ansia e al timore di un altro attacco terroristico si aggiunge un dubbio: è vero che gli Stati uniti stanno vincendo la grande guerra in difesa della civiltà e dei valori di cui godono i paesi liberi? Secondo gli ultimi sondaggi circolati negli Usa, solo un americano su tre crede che nei teatri dell’Afghanistan e dell’Iraq il conflitto stia volgendo a favore del proprio paese. In questo momento di divisione e di insicurezza, quindi, il presidente invita a serrare le fila, mettere da parte le differenze e sostenere completamente le scelte del proprio governo. «Dobbiamo mettere da parte le nostre differenze e lavorare insieme per superare – ha detto Bush – la prova che la storia ci ha dato. Sconfiggeremo i nostri nemici, proteggeremo la nostra gente e faremo del XXI secolo un’era fulgida di libertà umana». Il presidente ricorda inoltre, riferendosi all’Iraq, che «la sicurezza dell’America dipende dal risultato della battaglia in corso nelle strade di Baghdad».
Nel discorso alla nazione, il riferimento all’Iraq non è piaciuto ai rappresentanti del partito democratico che hanno accusato il presidente di aver utilizzato la giornata della commemorazione per giustificare la scelta di attaccare Baghdad. «Qualsiasi errore possiamo aver commesso in Iraq, l’errore maggiore sarebbe quello di andarcene senza aver completato l’opera, sarebbe quello di pensare che i terroristi, se ce ne andassimo, ci lascerebbero in pace».
Nei giorni scorsi una commissione di senatori americani, nominata per far luce sui possibili legami tra Saddam Hussein e Al Qaeda ha presentato un rapporto che scagiona il dittatore iracheno da qualsiasi legame con il terrorismo internazionale di matrice islamica, con i talebani e con Bin Laden. Ed è proprio questa parte dell’intervento che senatori democratici come Ted Kennedy e Harry Reid hanno accusato di essere un messaggio politico per difendere la scelta di invadere l’Iraq. Viste le imminenti elezioni di medio termine del 7 novembre prossimo, dove secondo i sondaggi il presidente Bush sarebbe in calo nei consensi, l’amministrazione repubblicana cerca di difendere la maggioranza che detiene nel congresso. La scelta di puntare parte della campagna elettorale sulla sicurezza e di mostrarsi agli elettori come fermi e decisi nella lotta al terrorismo ha lo scopo di mostrare gli avversari democratici come deboli, indecisi e molli.
Ultima nota degna del discorso di Bush riguarda il capo di Al Qeda, Osama Bin Laden: «Ti prenderemo, non importa quanto tempo ci voglia, e ti tradurremo alla giustizia. Osama e altri terroristi continuano a nascondersi, ma l’America li prenderà e li giudicherà».