I peana che si sono sollevati in questi giorni sulla visita di Bush e gli incontri che ha avuto con i leader europei, somigliano fortemente a quello che Giulietto Chiesa ha giustamente definito lo tsunami informativo. E’ ovvio che dentro uno tsunami è difficile orientarsi perché la violenza dei flussi è tale da sbaraccare tutto. Ed è così che di fronte a nessuna novità positiva, anche i leader della sinistra italiana ed europea cedono terreno e concedono a Bush (in alcuni casi anche a Sharon) una nuova credibilità.
Quello che salta agli occhi è che i governanti europei devono oggi fare i conti con una ammnistrazione Bush uscita rafforzata dalle elezioni presidenziali e non con quella più incerta degli anni scorsi. Un conto è prendere di petto un presidente che potrebbe uscire di scena tra poco, un altro è trovarsi a trattare con uno che di fronte altri quattro anni pieni del suo mandato. Se poi si tiene conto che dispone delle forze armate e dell’economia più forti del mondo era impensabile pensare a Chirac e Schoeder potessero accapigliarsi apertamente con Bush…è una questione di “protocollo” al quale però né Prodi, né Fassino, né Bertinotti erano tenuti ad attenersi non avendo (ancora) responsabilità di governo.
Diventa dunque necessario riprendere in mano la bussola e cercare di orientare la discussione e l’analisi, fornendo elementi che pure sono ben visibili anche tra le righe dei corrispondenti e dei commentatori dei giornali europei.
Il Sole 24 Ore ad esempio coglie la sostanza della visita e degli incontri di Bush con grande chiarezza: “A Bruxelles ci sono stati un baratto e un chiarimento di ruoli” scrive il quotidiano confindustriale “ Bush e gli USA non interferiranno nelle beghe interne europee con i progetti disgreganti sulla Vecchia e la Nuova Europa e l’Unione Europea non darà vita a proiezioni esterne (cioè interventi militari con strutture proprie) che non siano coordinate e concordate dentro la NATO”.
Inoltre, il baratto tra USA e le principali potenze europee (Francia, Germania, Gran Bretagna) prevede anche un agnello sacrificale sul quale far convergere gli interessi: il Libano e la Siria.
Gli Stati Uniti (insieme e per conto di Israele) vogliono schiantare la Siria e il suo appoggio agli Hezbollah in Libano, ad Hamas e alla sinistra palestinese nei territori occupati da Israele ed alla resistenza irachena. La Francia vuole riprendere il controllo neocoloniale del Libano. Do ut des, come ai vecchi tempi delle spartizioni coloniali.
Ma se sulle aree di influenza è possibile il baratto, su questioni strategiche come la NATO e il complesso delle relazioni internazionali le divergenze tra USA e nocciolo duro europeo, sono rimaste tali.
Schroeder e Chirac, sostengono infatti un superamento “de facto” della NATO e l’introduzione di una partnership speciale tra Stati Uniti da una parte e Francia, Germania, Gran Bretagna dall’altra.
“Schroeder ha scoperto le carte su un progetto di direttorio strategico a quattro – Washington e i “tre europei” che vorrebbe proporre a Bush – scrive un esperto di diplomazia come Ferdinando Salleo sulla Repubblica – “ma questo segnerebbe la fine della NATO”. Se tale è il progetto europeo, proprio su questo Bush ha risposto picche ribadendo che l’unico foro transatlantico deve rimanere la NATO. Tant’è che secondo Franco Venturini (Corriere della Sera) la divergenza – al di là delle frasi di prammatica – è rimasta intatta. Non solo, sulla strada “Ci sono due bombe ad orologeria nel bel mezzo dell’Atlantico: la revoca dell’embargo sulle armi alla Cina da parte dell’Unione Europea e i negoziati con l’Iran sul nucleare”. Ci sarebbe da aggiungere un terzo scoglio: l’Iraq. E’ vero che con le elezioni in molti hanno voluto dare una verniciatura di normalià alla perdurante occupazione militare del paese. E’ anche vero che l’ONU viene ancora agitata da molti come soluzione per dare legittimità all’occupazione stessa. E’ vero che gli Stati Uniti stanno cercando di venirne fuori con il massimo risultato e riducendo le perdite (che cominciano a farsi consistenti). Ma è vero soprattutto che gli iracheni hanno dimostrato con la loro resistenza che la parola definitiva sul futuro dell’Iraq intendono dirla loro e che i governi europei continuano a defilarsi da impegni concreti e consistenti sul campo. Le decisioni sull’Iraq prese in sede NATO a guardarle da vicino sono infatti ben poca cosa.
Infine resta il nervo sensibile delle relazioni con la Russia. Mosca è tornata sulla lista nera degli USA da quando ha “ristatalizzato” l’industria petrolifera. Come è noto infatti, la democrazia dei vari paesi non viene misurata in termini di libertà politiche o di come affrontano militarmente i vari fronti interni, ma su quanto salvaguardano i rapporti privati di proprietà e favoriscono gli investimenti stranieri. Si possono anche scannare i ceceni, truccare le elezioni o gettare sul lastrico milioni di pensionati, l’importante è non toccare la proprietà privata. La Russia come è noto guarda all’Unione Europea come sponda politica ed economica ma è infastidita dai rilievi sull’assetto democratico interno che gli vengono da statunitensi ed europei. E’ preoccupata dall’assedio della NATO e dalla penetrazione politico-militare statunitense nelle repubbliche ex sovietiche: Georgia prima e Ucraina poi. Bush, tra l’altro, ha ricevuto il suo uomo di paglia ucraino, Yushenko, per ben…dieci minuti, a significare che nella gerarchia dei vassalli, gli uomini “arancioni” prosperati a Kiev sono decisamente in basso. Bush quindi torna dal suo giro nella periferia centrale del suo ex impero con qualcosa che rompe l’isolamento in cui l’aveva cacciato la guerra contro l’Iraq ma non con risultati strategici ed a lunga scadenza. Infine, ma non per importanza e per non essere da meno di Prodi vogliamo sottolineare “go out mr. Bush…we don’t like you and your bombs”.