Accolto da duecento pacifisti al grido di «Vergogna!», George W. Bush ieri ha definitivamente abbandonato la retorica trionfalistica e ammesso quello che non aveva mai osato dire: 30.000 iracheni sono morti finora come conseguenza diretta della guerra e le elezioni di dopodomani non segneranno la fine dei massacri in Mesopotamia. Parlando a Philadelphia davanti al World Affairs Council, il presidente degli Stati uniti d’America al termine del suo discorso – il terzo di una serie ideata per accompagnare il voto legislativo del 15 dicembre e le drammatiche notizie che arrivano dal fronte – ha sorprendentemente accettato di rispondere a delle domande del pubblico. E a chi gli ha chiesto una stima degli iracheni morti dall’invasione del marzo 2003 ha replicato: 30.000. Una cifra che sembra tratta dal bollettino di Iraq body count, l’associazione indipendente di accademici e pacifisti che parla di un numero di decessi compreso tra 27.383 e 30.892.
Se altri conteggi, tra cui quello pubblicato sulla rivista medica Lancet, parlano già di 100.000 morti, l’ammissione del comandante in capo che il 1 maggio 2003 dalla tolda della portaerei Abramo Lincoln dichiarò frettolosamente «missione compiuta» è parsa comunque sorprendente, a tal punto che subito dopo l’ammissione il suo portavoce, Scott McClellan, ha precisato che la stima «si basa su cifre citate dai mass media, mentre non c’è alcun conteggio ufficiale da parete del governo statunitense».
Nonostante i massacri quotidiani, gli scandali delle torture, le 2.144 bare che hanno riportato in patria altrettanti soldati americani, Bush ha affermato che rifarebbe la guerra, perché «nessuna nazione nella storia ha mai effettuato una transizione verso una società libera senza difficoltà, intoppi e false partenze». E a un’altra domanda sui presunti legami tra l’ex dittatore iracheno Saddam Hussein e gli attentati dell’11 settembre 2001 ha risposto che Saddam «rappresentava una minaccia accentuata dall’11 settembre».
E proprio da Baghdad, due giorni prima del voto che porterà all’elezione dei 275 membri del parlamento ieri è arrivata la notizia della scoperta di un altro centro di detenzione dove prigionieri sarebbero stati torturati. Oltre seicento detenuti ammassati in modo disumano, denutriti, con evidenti segni di maltrattamenti. Almeno dodici di essi avrebbero presentato segni di «torture gravi», per i quali è stato necessario il ricovero in ospedale. La rivelazione è arrivata dallo stesso governo curdo-sciita, dopo un’ispezione compiuta giovedì scorso dal ministero dell’interno iracheno e da soldati americani in un centro di detenzione a Baghdad gestito da iracheni.
Intanto cinque gruppi della guerriglia islamista, tra cui al Qaeda guidata in Mesopotamia da al Zarqawi, hanno pubblicato ieri un comunicato su internet in cui il voto viene definito «un progetto satanico», ma senza alcuna esplicita minaccia di attacco ai seggi. Le altre fazioni della resistenza invitano invece esplicitamente i 15milioni di elettori a recarsi alle urne, in modo che i sunniti siano rappresentati alla camera.