Bush go home

Da “La Jornada” del 10 novembre 2005

Mar del Plata, in Argentina, è sede in questi giorni di due vertici
contrapposti. Il primo- la cosiddetta Cumbre delle Americhe (CA)- è quello voluto da Bush, come sempre impegnato a schiavizzare i popoli
latinoamericani per appropriarsi di tutte le loro risorse. L’imminente
arrivo dell’imperatore ha trasformato la placida città balneare in una zona occupata e i suoi abitanti in prigionieri del bellicoso servizio di
sicurezza creato per proteggerlo.

Imporre dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco il moribondo Accordo di libero commercio delle Americhe (ALCA) e i suoi strumenti di dominio economico, finanziario, militare e normativo: questo è l’obiettivo principale del Vertice delle Americhe. Washington pretenderebbe di anticipare a gennaio di questo anno l’entrata in vigore del trattato, ma la resistenza popolare e di alcuni governi ha costretto gli Usa a rimandare. A fronteggiare il vertice si è alzata alta anche la voce del Cumbre dei Popoli (CP), che raggruppa centinaia di organizzazioni popolari della America Latina, Stati Uniti e Canada, con obiettivi diametralmente opposti a quelli del Vertice delle Americhe: la lotta contro l’imperialismo, per la riforma agraria, per l’autodeterminazione dell’uso delle risorse nazionali, per l’uguaglianza e la giustizia sociale, per i diritti dei popoli indigeni e di discendenza africana. Dunque, la ricerca di alternative di profondo interesse sociale contro il neoliberismo e la tirannia del “libero” commercio e pertanto il rifiuto dell’ALCA e lo sviluppo di una integrazione solidale e democratica come quella promossa dalla Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA).

Al contrario, chi legge il progetto del documento finale del Vertice delle
Americhe troverà parole vuote sulla disoccupazione, sulla povertà e la
marginalizzazione, utili solo a vincere l’opposizione di molti governi
all’ALCA. L’insistenza di Washington è comprensibile: l’ALCA metterebbe le basi per un progetto ambizioso: la colonizzazione dell’America Latina, dopo aver minato la sovranità dei suoi Stati nazionali con politiche neoliberali rafforzate con i Trattati di Libero Commercio (TLC) già firmati separatamente con Messico, con Cile, i Paesi della America Centrale e con Repubblica Dominicana. A questi potrebbe aggiungersi, in un futuro non lontano, anche la Colombia. Ma anche Perù ed Ecuador, sempre se i movimenti popolari che scuotono questi paesi lo permetteranno. Ma far rivivere l’ALCA senza l’accordo di Brasile, Argentina, Uruguay, Bolivia, Venezuela e i paesi del CARICOM è un sogno di una notte d’estate. Da qui la disperazione degli Stati Uniti, fino ad oggi incapaci di imporre questo cappio ad una America Latina che rischia di sfuggirle dalle mani.

L’altro obiettivo di Washington è isolare il Venezuela bolivariano perché
costituisce una forte alternativa al neoliberalismo e una locomotrice per
l’integrazione e l’unità latinoamericana: caratteristiche che fanno di
questo paese un esempio di dignità e sovranità. E’ la stessa ragione per cui Cuba è stata esclusa fin da quando questo meccanismo è iniziato, nel 1994 a Miami. La verità è che l’ALCA è un organismo che i popoli della nostra regione non vogliono e di questo si fa portavoce la Cumbre dei Popoli (il vertice dei popoli – CP) dove è presente una numerosa rappresentazione cubana capeggiata dal leader parlamentare Ricardo Alarcon.

Non è casuale che l’ingresso ai trattati di libero commercio non sia stato
deciso con un consulto popolare. Per questo il presidente venezuelano Chavez affermò che sarebbe andato al Vertice delle Americhe per “mandar via” l’ALCA. Lo stesso diranno gli argentini che manifesteranno contro Bush il 4 novembre, mentre la Centrale dei Lavoratori (CTA) ha convocato uno sciopero generale con lo stesso proposito. La protesta giungerà anche a Mar del Plata capeggiata da Diego Armando Maradona, Adolfo Perez Esquivel, la indigena Blanca Chancoso, il brasiliano Joao Pedro Stedile, le Madri della Plaza de
Mayo, il cineasta Emil Kosturica e la statunitense Cindy Cheeham. Poi la
manifestazione confluirà nello stadio Polisportivo dove canteranno Silvio
Rodriguez e Daniel Viglietti. Per concludere sarà lasciata la parola a Hugo Chavez. Una giornata popolare di lotta, di amore e di festa. Bush non conosce le tradizioni di lotta del popolo argentino nè il suo profondo anti imperialismo. I suoi collaboratori e strateghi non hanno calcolato l’alto costo politico internazionale che avrà la sua presenza temeraria nella patria di San Martin. Un grande grido ripercorre Argentina: Bush go home.