Mentre nel 2002 l’attenzione internazionale era concentrata quasi interamente sull’Iraq, il Nordest Asiatico, area ancora più cruciale del sistema-mondo, registrava sviluppi importantissimi: la Cina ha messo in atto il cambio della guardia verso una generazione un po’ più giovane; il Giappone ha visto un lento e silenzioso allontanamento dagli Usa, molto simile a quello avvenuto in Germania; e la Corea è stata sede di due eventi che preannunciano grandi cambiamenti nella regione e nel mondo intero.
Alla linea dura del presidente Bush – che sospendeva ogni negoziato etichettando la Corea del Nord tra i paesi dell’`asse del male’– la Corea del Nord ha reagito dimostrando che la partita può essere giocata in due. Il governo nordcoreano ha infatti annunciato che possiede armi di distruzione di massa, che sta rimettendo in funzione il proprio reattore nucleare e che ha deciso di disattivare i dispositivi di vigilanza dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Contemporaneamente, la Corea del Sud ha eletto Roh Moo-hyun, il candidato del Partito democratico Millennium (Millennium Democratic Party), fedele alla Sunshine Policy 1 del presidente Kim Dae-jung. È pur vero che le elezioni si sono appena svolte, ma fino a poco tempo prima Roh Moo-hyun veniva dato perdente nel confronto con il candidato più conservatore, ostile alla svolta voluta da Kim Dae-jung. L’ondata di sentimenti anti-Bush ha senz’altro contribuito alla vittoria di Roh, così come aveva favorito Gerhard Schröder in Germania in settembre dello scorso anno.
Entrambe queste manifestazioni di sfida alla politica Usa segnano, per il momento, una sconfitta per il presidente americano. Bush pensa forse di potersi occupare della Corea dopo aver risolto la questione irachena e aver eliminato Saddam Hussein; ma in realtà può fare ben poco. Nel caso della Corea del Nord, la scelta è tra negoziare o combattere. E per quanto Bush non intenda negoziare, combattere non è poi un’alternativa così valida: come si ricorda, l’ultima guerra finì in parità; e anche se la situazione internazionale, politica e militare, è cambiata rispetto a cinquant’anni fa, non è assolutamente detto che questa volta gli Usa possano fare di meglio. Non ci sono dubbi sul fatto che una guerra esporrebbe sia la popolazione sudcoreana sia le truppe statunitensi lì stanziate al rischio di forti perdite. Ma se la Corea del Nord riuscisse a trascinare gli Usa al tavolo dei negoziati, per il presidente Bush questo risultato equivarrebbe a un’umiliazione.
Apparentemente, Bush sembra contare sul fatto che i vicini della Corea del Nord – Corea del Sud, Giappone, Cina e Russia – si uniscano agli Usa nel progetto di smantellare il programma nucleare nordcoreano prima di avviare qualsiasi trattativa. Benché anch’essi desiderino ottenere questa rinuncia dalla Corea del Nord, è assai improbabile che questi paesi vogliano impegnarsi ad appoggiare il piano di Bush; e in ogni caso, è ancora più difficile che i nordcoreani cedano a queste pressioni. La cosa più probabile, invece, è che le pressioni Usa producano forti divisioni interne in Corea del Sud, in Giappone e perfino in Cina.
Sarebbe sbagliato affrontare la questione solo nell’ottica suggerita dagli avvenimenti attuali: è più utile considerare quali sono le preoccupazioni più di lungo periodo delle tre aree storiche del Nordest asiatico – Cina, Corea e Giappone – e come queste tre realtà e i diversi interessi regionali interagiscono tra loro. Le priorità della Cina sembrano piuttosto chiare: tenere il paese unito, potenziare l’esercito, rafforzare la propria partecipazione alla produzione mondiale e riannettersi Taiwan. La successione delle priorità non è casuale: le ho elencate nell’ordine di importanza attribuito loro dal governo cinese. Negli ultimi dieci anni il governo della Cina ha compiuto importanti progressi nei quattro ambiti citati, ed è probabile che questi sviluppi proseguiranno nel prossimo decennio. Ciò nonostante, se dovesse vacillare il primo obiettivo – tenere il paese unito –, gli altri tre diventerebbero praticamente irrealizzabili. E sebbene il governo cinese abbia fatto buoni passi avanti in questa direzione, sa di dover affrontare al proprio interno continue situazioni di rischio.
Per la Corea – del Nord e del Sud – la priorità è e rimane la riunificazione. Ma la riunificazione secondo i termini stabiliti da chi, e a quale prezzo? Nessuno dei due governi è disposto a fare concessioni politiche significative, e senza qualche cambiamento la riunificazione è impossibile. Economicamente, la Corea del Nord sembra versare in condizioni disperate, mentre la Corea del Sud si preoccupa di mantenere la propria posizione relativamente buona nell’economia-mondo, minacciata sia dalla tendenza negativa dell’economia globale sia dagli enormi costi che comporterebbe qualsiasi avvio di riunificazione. L’esperienza tedesca è assai presente alla coscienza collettiva sudcoreana. Suppongo che i sudcoreani sostenitori della Sunshine Policy sperino in un Gorbaciov nordcoreano, anche se non è prevedibile che cosa potrebbe accadere se davvero se ne presentasse uno.
Quanto al Giappone, l’atmosfera politica che si respira al momento è di assoluta incertezza sulle prospettive e prevale la sensazione che, quando non si sa dove andare, la cosa migliore sia non fare nulla, o molto poco. Ci si interroga su due quesiti in particolare: come recuperare la spinta dinamica nell’economia-mondo che ha caratterizzato il Giappone negli anni ’70 e ’80; e se diventare una normale potenza militare e, in questo modo, un attore politico semi-indipendente sulla scena globale.
La realtà è che i dilemmi cui si trovano di fronte le tre aree del Nordest asiatico non possono risolversi separatamente, poiché sono interconnessi: una salda influenza del Nordest asiatico sulla scena mondiale dipende dalla capacità di stare insieme economicamente come regione, formando quindi un triangolo cooperativo negli ambiti politico e militare. E questo significa risolvere non soltanto i dubbi interni a ciascun paese ma anche antiche dispute regionali mai superate. Né la Corea né la Cina hanno mai perdonato al Giappone la sua politica aggressiva nella prima metà del ventesimo secolo. Il Giappone sente ancora molto il suo debito culturale nei confronti della Cina e anche della Corea, e nonostante le sue recenti conquiste, non ha ancora superato completamente un senso di inconfessata inferiorità. Cina e Corea, per di più, rimangono piuttosto diffidenti l’una dell’altra.
Ciò nonostante, le tre regioni hanno moltissimo da offrirsi reciprocamente, e condividono non soltanto i confini geografici, quanto un’eredità culturale comune non molto diversa da quella sulla quale i paesi dell’Europa occidentale si basano per affermare il loro legame. Ma c’è da considerare innanzitutto la situazione geopolitica: in un’epoca di declino dell’egemonia Usa, il Nordest asiatico non riuscirà a essere all’altezza della situazione se non si cimenterà con il problema dell’ineguaglianza globale e con la rivendicazione da parte del Sud di un nuovo sistema-mondo qualitativamente diverso. Nell’affrontare entrambe le questioni, quella dei luoghi dell’accumulazione del capitale e quella del superamento della polarizzazione dell’attuale sistema-mondo, il Nordest asiatico non sarà in grado di svolgere il ruolo cui ambisce senza riunificarsi in qualche forma. E questa unione dipende dalla capacità delle tre aree di risolvere i loro attuali dilemmi, e di aiutarsi l’una con l’altra per risolverli.
note:
1 La Sunshine Policy (letteralmente: la politica dello splendore solare) è la politica interna di lotta alla corruzione, democratizzazione, sviluppo del Welfare e, soprattutto, la politica estera di riconciliazione e cooperazione con la Corea del Nord, che, lanciata dal presidente Kim Dae-jung nel 1998, ha avuto il suo sviluppo più significativo nell’Intesa di massima del 2000 fra le due Coree. Il nome di questa politica è ricavato da questo significativo (geopoliticamente parlando) apologo di Esopo: «D’estate, quando il calore provoca la sete, un leone e un cinghiale andarono a bere a una piccola fonte, e cominciarono a litigare su chi dei due dovesse dissetarsi per primo. La lite si inasprì fino a trasformarsi in duello mortale. Ma ecco che, mentre si volgevano un momento per riprendere fiato, scorsero degli avvoltoi che stavano lì ad aspettare il primo che sarebbe caduto, per mangiarselo. A tal vista, ponendo fine al duello, dichiararono: “Meglio diventare amici che diventar pascolo di avvoltoi e di corvi”» (NdRM). Il testo di Wallerstein traduce il N. 104 dei Commentaries, che si possono leggere all’indirizzo http://fbc.binghamton. edu/commentr.htm