Bush, dopo l’escalation la caduta nei sondaggi

Ha parlato di «errori» senza specificare; se ne è assunto la responsabilità senza scusarsi; ha del tutto ignorato i «suggerimenti» ricevuti dalla commissione bipartitica dei «saggi», ha di fatto sfidato il Congresso ora controllato dai democratici ed ha basato la sua «nuova strategia» in Iraq sulle vedute dei generali che però sono quelli con cui ha appena rimpiazzato i generali che invece gli avevano mostrato il loro disaccordo. Ma il disaccordo glielo ha subito mostrato l’opinione pubblica, che in un sondaggio compiuto «a caldo» per conto della Abc e del Washington Post si è detta contraria al 61% (il 52 «fortemente contraria»), con il 36% che ancora lo appoggia, ma solo il 25 «fortemente». E pensare che George W. Bush e i suoi «addetti all’immagine» le avevano studiate tutte per fare di mercoledì un momento di «arresto» della caduta a precipizio.
Evitiamo di farlo sedere alla sua scrivania nell’Ufficio ovale, avevano decretato quei cervelloni, perché potrebbe apparire troppo «lontano» dalla gente comune: meglio metterlo in biblioteca, in piedi e con gli scaffali alle spalle, in modo da avere l’aria di «uno che ha appena letto un libro e ne discute con un amico», secondo la candida spiegazione data da un suo portavoce. Escluso, per la stessa ragione, anche il tono trionfale tipo «l’unica conclusione accettabile è la vittoria», sostituito da un parlare un po’ dimesso accompagnato da un’espressione rigorosamente grave. Non ha funzionato, hanno subito detto i sondaggi, con il che sembra ormai acquisito che – seppure con grave ritardo rispetto al resto del mondo – l’opinione pubblica americana ha imparato a distinguere tra la scena e la sostanza.
E la sostanza è che in Iraq ci sarà un’escalation, a meno che i democratici non riescano a mettersi d’accordo per adottare la tattica di negare il finanziamento alle truppe aggiuntive, come ha sostenuto Ted Kennedy. Nella «risposta» democratica pronunciata già mercoledì sera dal senatore Dick Durbin subito dopo il discorso di Bush c’erano molte parole di opposizione, molti riferimenti alla «chiara indicazione» data dagli elettori il 7 novembre ma nessun accenno alla borsa. E quanto a Nancy Pelosi, la speaker della Camera, il massimo da lei minacciato è stato un voto dei deputati sul piano di Bush che però – se staccato dal finanziamento – è destinato ad essere solo simbolico.
Secondo alcuni commentatori quella di Bush è una «scommessa» sul fatto che i democratici non avranno il coraggio di negare i soldi alle truppe e che quindi lui – forte dei 20mila soldati in più – avrà modo di vantare nel giro di alcuni mesi gli inevitabili successi che questa nuova iniezione di soldati gli porterà. Infatti non ha dubbi sulla bontà sia dell’idea iniziale di invadere l’Iraq sia sulla decisione adesso di aumentare le truppe e «sa» che presto o tardi – forse durante il tempo che gli rimane alla Casa bianca o forse dopo, per la storia – se ne accorgeranno tutti. Che poi sarebbe un palese esempio della «perenne illusione» in cui, secondo Bob Woodward, Bush vive o del suo atteggiamento da «turista capitato per caso a Baghdad», secondo la definizione coniata dal New York Times.
C’è chi fa il parallelo fra il sostanziale «aumentiamo le truppe per poterle diminuire» di Bush e la decisione di Richard Nixon di estendere alla Cambogia la guerra in Vietnam «per concluderla prima». Ma c’è una differenza: Nixon si rivolse al pubblico dicendo con la sua abituale (e brutale) franchezza che «so benissimo che la maggioranza di voi vuole riportare i soldati a casa e io vi assicuro che questa azione servirà proprio ad accelerare il loro ritorno ». Bush invece, raccontava mercoledì il suo portavoce Tony Snow, prima di pronunciare il suo discorso sperava sinceramente che le sue parole avrebbero «riportato il pubblico a sostenere la guerra». Snow aveva subito aggiunto che gli uomini che circondano Bush, invece, «non si fanno nessuna illusione» ma intanto la messinscena era stata organizzata. Oltre alla scenografia di cui si è detto era stato organizzato un pubblico sostegno a Bush da parte di Condoleezza Rice e Robert Gates, che ha preso il posto di Rumsfeld al ministero della Difesa, puntualmente avvenuto ieri, nonché un «incontro informale» del presidente con gli anchormen delle maggiori emittenti televisive. Uno di loro, Brian Wiliams della Nbc, gli aveva chiesto se avesse visto in tv l’esecuzione di Saddam Hussein e la sua risposta era stata che, sì, l’aveva vista e il suo parere in merito era che si è trattato del «peggiore errore fatto finora in questa guerra, secondo solo allo scandalo di Abu Ghraib».