«Il mio messaggio al governo iracheno è: siamo al vostro fianco». George Bush ha scelto la chiave della commozione (non necessariamente sincera) per commentare il nuovo smacco subito dagli insurgent. Un’esplosione in pieno parlamento, cioè in piena «zona verde», cioè nel mezzo della città proibita, in pratica l’unica parte dell’Iraq che si potesse con qualche sforzo considerare ancora sicura, gli è arrivata addosso proprio il giorno dopo il suo attacco più virulento contro i democratici, che per accordargli i 120 miliardi di dollari da lui chiesti per continuare la guerra pretendono di fissare la data del ritiro delle truppe dall’Iraq. Nella sua foga, Bush li aveva accusati di fare il gioco del nemico «proprio nel momento in cui stiamo registrando progressi consistenti». Una botta a quella certezza era arrivata poche dopo, quando Robert Gates, quello che ha sostituito Donald Rumsfeld alla guida del Pentagono, aveva dato ai soldati la bella notizia che il loro «turno di avvicendamento» in Iraq non sarà più di un anno ma è stato prolungato a 15 mesi; quella dell’esplosione gli è arrivata mentre dormiva. Non si sa se i suoi uomini – contravvenendo alla norma – lo abbiano svegliato per dargli la notizia, ma si sa che la sua scarna dichiarazione è stata resa pubblica alcune ore dopo.
Un po’ più articolata Condoleezza Rice, che ogni tanto riemerge in questa stagione che la vede sempre più in ombra. Per il segretario di stato la chiave scelta è stata quella del «non c’è da stupirsi». Ha infatti detto che «sappiamo bene che a Baghdad c’è un problema di sicurezza e che la sua soluzione richiede un processo lungo». Quindi, ha aggiunto (e qualche maligno potrebbe pensare che avesse in mente proprio il suo capo) «non credo proprio che qualcuno si aspettasse che non ci sarebbero stati tentativi da parte dei terroristi di minare i nostri sforzi». E quanto a John McCain, che ormai sta diventando un caso, intrappolato com’è a giocarsi la sua corsa alla Casa bianca sostenendo una guerra da lui sempre giudicata non sbagliata ma mal concepita e mal condotta perché ha bisogno dei voti dei bushisti irriducibili, lui l’ha buttata sul piano delle pubbliche relazioni. Un attacco come quello di ieri, ha detto, lo aveva previsto perché i terroristi hanno bisogno di azioni spettacolari con cui «catturare le prime pagine dei giornali degli Stati uniti, dove come si sa il sostegno dell’opinione pubblica alla presenza delle nostre truppe in Iraq sta calando sempre più».
Decisamente sul formale e risaputo il povero Gordon Johndroe, il cui compito è quello di portavoce della sicurezza nazionale ma che in questa circostanza si è trovato a dover fare il commento ufficiale. «Gli Stati uniti condannano questo attacco contro il governo iracheno democraticamente eletto», ha detto tutto solenne. Gli è stato chiesto se quella bomba in mezzo alla zona verde non mettesse in questione la «nuova strategia» di Bush e lui ha risposto sicuro: «No, io credo che mostri piuttosto la determinazione dei terroristi e degli estremisti. Sono preoccupati perché le forze americane e irachene li stanno combattendo e quindi reagiscono perché non vogliono che il popolo iracheno viva in libertà». In sostanza, ciò che è accaduto ieri è solo «un incidente» e lui, mister Johndroe, sa con certezza che «le forze americane e irachene indagheranno per capire cosa esattamente è accaduto e compiranno i passi necessari per assicurare che non accada di nuovo». Gordon Johndroe, si diceva, non è molto pratico di schermaglie con i cronisti, che incontra raramente. Messo davanti a loro con un avvenimento come questo, ha scelto di ripetere come un disco le cose che la Casa bianca dice ogni giorno, a prescindere dagli avvenimenti. Lo si poteva perdonare e infatti la maggior parte dei cronisti presenti hanno deciso di non infierire. Il problema, in fondo, non è che a ripetere le stesse cose sia una portavoce inesperto. Il problema vero è quando a farlo sono i suoi capi. E Bush e Cheney lo fanno sempre.