Bush all’armi

George Bush ha aperto la Seconda guerra fredda. E così è subito entrato nella storia dalla parte posteriore, come succede spesso ai piccoli uomini che devono prendere decisioni spropositate. Così avrebbe detto il Criticone di Karl Kraus: “Il formato del mondo non è mai stato di così gigantesca piccolezza”.
Il suo discorso di Washington dell’altroieri non lascia margini ad acrobazie interpretative. L’epoca del disarmo è finita, adesso comincia una nuova era: quella della supremazia assoluta dell’unica superpotenza mondiale. Certo non c’è il respiro di Fulton, quando Churchill mise la propria firma – di potenza in irrimediabile declino – sotto il protocollo di intenti che dava l’avvio ufficiale alla Prima guerra fredda.
Questo “discorso di Washington” è più pragmatico, essenziale, davvero “americano”. Non ha bisogno di abbellimenti, di motivazioni più o meno mobilitanti. E’ l’affermazione pura e semplice del diritto del più forte, che agisce nel proprio esclusivo interesse. E’ l’equivalente esatto dell’affossamento del protocollo di Kyoto. L’unica differenza è che questo concerne la politica militare, quello concerneva la difesa ambientale.
Ma la logica è una sola e la coerenza davvero impeccabile: gli interessi degli Stati uniti sono al di sopra di tutto. Con buona pace di tutti gli ingenui che ancora parlano di fine della sovranità nazionale nell’epoca della globalizzazione. Fine, certo, per i più piccoli. I grandi sono ancora al loro posto, a difendere – anzi ad imporre agli altri – la loro esuberante sovranità. E l’America di Bush dimostra di avere un “ego sovrano” davvero potente.
Il termine “Seconda guerra fredda” è pertinente anche sotto un altro profilo: il nemico non è più quello della Prima. La Russia – si ritiene a Washington, ma forse è un grave errore prospettico e la fretta è cattiva consigliera – è stata debellata definitivamente. Ed è ovvio che gli “stati canaglie” sono solo dantesche “donne dello schermo” dietro le quali si intravvede la Cina.
Ecco il futuro nemico dell’America, a dispetto dei suggerimenti di Brzezinski, che proponeva di farne un partner. C’è perfino, già pronta, la data in cui la Cina – a giudizio degli strateghi del Pentagono – diventerà potenza militarmente temibile sul piano strategico: il 2017. Ci si prepara per tempo, dunque. La Russia è ancora dov’era. Non ha i capitali per una nuova corsa al riarmo, ma ha le tecnologie. La Cina non ha ancora le tecnologie, ma ha i capitali. Ed ha una chiara visione del proprio interesse nazionale. Si rimette in moto pericolosamente una nuova macchina di guerra.
Ma questa Seconda guerra fredda potrebbe riservare sorprese. Quei 60miliardi di dollari – diventeranno sicuramente 100 – che serviranno per costruire la difesa nazionale americana, sono anche lo strumento (statale) per rilanciare un’economia che perde colpi e, al tempo stesso, uno stratagemma per aumentare il divario tecnologico che separa l’America dall’Europa. Protraendo così la superiorità americana e proiettandola fin oltre la metà del secolo.
Una nuova guerra fredda senza Piano Marshall, come una trappola per gli alleati, cui si chiede solo di piegare la testa. Ecco la vera novità.
George Bush è “piccolo”, se ci si aspettava da lui una leadership mondiale, ma è del tutto adeguato per una strategia monopolare. Si tratta ora di vedere se l’Europa capisce. Se, capendo, è capace di reagire.