Nella giornata di ieri il Consiglio dei ministri ha varato il «pacchetto sicurezza» proposto dal ministro Pisanu, anche con il consenso della Lega Nord. Credo che sia una giornata estremamente triste per lo Stato di diritto in Italia.
Ti chiederei, in primo luogo, un giudizio nel merito degli elementi contenuti nel pacchetto sicurezza.
Come ho scritto anche nell’articolo pubblicato di recente da Liberazione, do un giudizio diverso da quello che molti, anche a sinistra e persino nel nostro Partito, hanno ritenuto di poter formulare su queste misure. Si passa dall’atteggiamento minimalista di chi sostiene si tratti sostanzialmente di norme già recepite nell’ordinamento (non considerando quindi gravi gli ampliamenti e gli aggravamenti di molte misure) alla posizione di chi addirittura sollecita misure più severe, chiedendone un’adozione rapida, puntuale ed ancora più intransigente.
Io ritengo che si tratta di misure pericolose per due ragioni.
In primo luogo per il contenuto specifico di questi provvedimenti. Ricordo, per esempio, il raddoppio del tempo del fermo di polizia in assenza di un mandato ed in assenza di difensori, le misure di ancor più libero accesso e controllo alla comunicazione, addirittura la modifica dello statuto di indizi che diventano prove sufficienti, indizi raccolti dalla polizia o da servizi di intelligence senza il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria: si tratta di una passaggio deciso nel senso dell’aumento dell’autonomia delle forze dell’ordine, della loro possibilità di intervento senza la verifica e il controllo da parte dell’autorità giudiziaria e un aumento anche della sfera del loro libero arbitrio.
Ma si tratta di misure pericolose anche perché rafforzano la tendenza complessiva oggi in atto verso la restrizione degli spazi di libertà e delle garanzie giuridiche.
Insomma, è grave in sé ed è grave anche perché è un ulteriore passaggio verso quella militarizzazione delle società che a parole tutti rifiutano ma che in realtà è il vero connotato di questo periodo.
Se a destra è in campo oggi questa proposta, così liberticida come tu hai descritto, a sinistra i Ds hanno illustrato, con una conferenza stampa, il 21 luglio, del segretario nazionale Piero Fassino, alcune proposte ben precise. Ti chiedo un commento rispetto al riferimento fatto in quella sede alla definizione del concetto di “attività terroristica” così come espressa nelle decisioni quadro dell’Unione Europea del giugno del 2002; una definizione, se non ricordo male, molto vaga. Ti preoccupa il richiamo dei DS a questa definizione, così indistinta e generica?
Per avere un quadro più organico del problema, distinguerei il merito delle proposte nella loro specifica concretezza e il significato politico complessivo che, a mio modo di vedere, va dato nel giudizio e nell’interpretazione. Le misure sono state illustrate, come tu dicevi, pochi giorni fa, e comunque ricorrente è stata in questi giorni la voce di dirigenti nazionali dei Ds che si sono distinti nella richiesta di misure immediate ed energiche, a cominciare dall’aumento della spesa per la «sicurezza» e dall’istituzione di una Procura nazionale anti-terrorismo.
La prima questione che va chiarita è la seguente: non si può avere l’illusione che di per sé l’unificazione delle agenzie o degli apparati sia un elemento di razionalizzazione. Sulla carta questo è vero e ci sono anche concrete conferme di questo fatto, come nel caso della Direzione nazionale Antimafia, che ha consentito di fare passi avanti nella lotta contro la mafia nelle sue diverse espressioni. Ma c’è anche un rischio opposto, di burocratizzazione. Soprattutto c’è il pericolo di costituire centri di potere «speciale», che opera al di fuori di regole e controlli. In questa fase, segnata da una psicosi di massa e dal frenetico radicalizzarsi di misure sicuritarie, questo pericolo non può essere sottovalutato, tanto più che nessuno può affermare (a meno di non fare della propaganda) di avere le idee chiare intorno a questo terrorismo, ai suoi mandanti e ai suoi progetti.
Quello che fa paura nella vibrante posizione assunta dai Ds (i più esagitati nell’invocare misure «di emergenza») è che non si tiene conto minimamente che il «pacchetto-sicurezza» del governo (come del resto le misure che gli stessi Ds propugnano) si colloca dentro una situazione connotata da un pericoloso abbassamento del quadro garantista e del rispetto delle garanzie democratiche, civili e costituzionali. Questo è il punto vero. Non ho sentito da nessuno di quanti sono in prima fila nel chiedere misure «rigorose» altro che formali clausole di rispetto di queste garanzie, ma nessuna concreta considerazione che dimostri che si ha la consapevolezza della situazione nella quale ci stiamo muovendo. Questo – mentre Bush sforna un secondo Patriot Act – è veramente allarmante.
Anche il richiamo alla Decisione quadro europea sulla lotta contro il terrorismo dimostra questa assenza di consapevolezza perché quello è un testo estremamente pericoloso. Basti pensare che l’articolo 1 definisce «reato terroristico» qualsiasi atto intenzionale teso a destabilizzare le strutture economiche e sociali di un Paese…
Siamo tutti terroristi, quindi…
Certo! È evidente che nel momento in cui vi è un’azione sindacale o vi è un picchetto o un corteo o vi è anche un’iniziativa politica volta a modificare in profondità l’attuale «struttura economica» noi comunisti siamo a rischio – non lo dico per amore di sofisma ma perché questo è realmente uno dei pericoli che questo periodo ci costringe a considerare – di essere considerati terroristi.
Non si può quindi avere questa precipitazione inconsapevole, sottesa all’indiscriminata richiesta di leggi «straordinarie».
È realistico istituire paralleli con gli anni Settanta, con quel terrorismo, come da più parti, anche in questi giorni, si sostiene?
Come dicevo, mi sembra che si tratti di paragoni avventurosi e fuorvianti. Nel caso degli «anni di piombo» avevamo a che fare con un fenomeno endogeno che sortiva per mutazione dalla stagione del conflitto sociale che questo Paese aveva vissuto sin dagli anni Sessanta e che nel decennio successivo conobbe una brutale repressione. Oggi ci ritroviamo di fronte ad una fenomenologia totalmente diversa, di carattere internazionale, e indissolubilmente legata alla guerra. È assurdo negare che il terrorismo sia figlio di questa nuova guerra imperialista che infuria dal 1991. Questa non è una tesi semplicistica, è un dato di fatto elementare che si vuole negare solo per motivi di propaganda.
Dico questo, naturalmente, non per giustificare alcunché, ma per dire che non ci si può muovere dentro un contesto così complesso senza farsi carico della sua complessità. Le risposte che si danno a quanto succede devono essere risposte all’altezza del quadro complessivo. Perché il rischio qui è che ogni passo che facciamo verso un’ulteriore repressone, nella misura in cui non aggredisce le cause del terrorismo, non fa altro che aggravare il rischio del terrorismo medesimo.
Tornerei alla decisione quadro dell’Unione Europea di cui parlavamo prima. Questa direttiva comunitaria definisce azione terroristica qualsiasi attacco ai civili e ai non combattenti. È allora vero che la guerra è terrorismo all’ennesima potenza, come abbiamo detto e scritto più volte?
Non c’è dubbio. Anzi, richiamo quanto è stato detto nel convegno cubano contro il terrorismo che, come ricorderai, è stato tenuto all’Avana qualche settimana fa. In quell’occasione si è detto precisamente che oggi gli Stati Uniti d’America sono i maggiori responsabili, non soltanto come causa ma anche come diretti attori, di una deriva terroristica di proporzioni epocali. Questo giudizio va riportato alla guerra in corso in Iraq. Il mondo intero ha avuto la riprova documentale che la guerra in Iraq è stata scatenata senza alcuna ragione al di fuori dei progetti imperialisti degli Stati Uniti. Si sono sfoderate in sequenza le menzogne più spudorate, dalle armi di distruzione di massa al coinvolgimento di Saddam nell’11 settembre. La verità è che si è pianificata la morte di oltre 100.000 civili. Nonostante questo dato di fatto, di fronte a questo massacro di proporzioni bibliche noi esitiamo, non si capisce davvero su che base, a parlare di terrorismo! Bisogna cominciare a dire, se siamo coerenti con quello che costituisce in fondo il principio base della civiltà moderna e cioè che ogni vita umana ha lo stesso inestimabile valore, che 100.000 morti pesano sulla coscienza occidentale come un macigno. Un macigno che deve costituire il primo termine di riferimento per qualsiasi riflessione sul terrorismo e la guerra in questo periodo storico.