La crisi? Non per tutti. Secondo Standar & Poor’s, «la risposta militare agli attacchi dell’11 settembre accrescerà i profitti di alcune società». Che fabbricano bombardieri, portaerei, sottomarini…
La bella notizia l’ha data il 28 agosto Standard & Poor’s, la nota agenzia di valutazioni finanziarie: «La guerra in Afghanistan, accentuando negli Stati uniti l’importanza della difesa nazionale, ha recato all’industria un beneficio che andrà oltre. La risposta militare agli attacchi dell’11 settembre dovrebbe sostenere la tendenza al rialzo della spesa della difesa e accrescere i profitti di alcune società del settore». Nei quartieri generali della Boeing, Lockheed Martin e Northrop Grumman, le industrie aerospaziali che si accaparrano i maggiori contratti del Pentagono, c’è un clima di euforia. «Prima dell’11 settembre – racconta Ron Sugar, presidente della Northrop Grumman – valutammo che la pace totale non sarebbe prevalsa nel nostro tempo e, quindi, i nostri sistemi per gli attacchi di precisione sarebbero stati molto efficaci in conflitti come poi è stato quello dell’Afghanistan». Geniale lungimiranza. Nel momento stesso in cui le Torri Gemelle crollavano, le azioni della Northrop Grumman decollavano salendo del 30% in tre settimane.
Da allora gli affari sono andati di bene in meglio. La guerra in Afghanistan ha permesso alla Northrop Grumman di sperimentare il suo aereo senza pilota «Falco globale», di cui l’aeronautica (il cui segretario è James Roche, già executive della stessa Northrop Grumman) acquisterà 51 esemplari per 7 miliardi di dollari. La guerra ha anche accresciuto le quotazioni del suo bombardiere strategico B-2 Spirit (il più costoso aereo del mondo, 2,2 miliardi di dollari), già impiegato in Jugoslavia. Sull’onda del successo, la società ha proposto all’aeronautica di acquistarne altri 40 da aggiungere agli attuali 21. Dato che la Northrop Grumman opera a tutto campo – dalla produzione di sistemi per lo «scudo spaziale» a quella di portaerei (di cui ha il monopolio) e sottomarini nucleari (di cui è la maggiore costruttrice insieme alla General Dynamics) – essa trae beneficio dall’aumento della spesa militare sia nel settore aerospaziale che in quello navale.
Le prospettive, come prevede Standard & Poor’s, sono rosee. Il bilancio del Pentagono, secondo la richiesta dell’amministrazione Bush, aumenterà di 45,5 miliardi di dollari (+ 13%), salendo nell’anno fiscale 2003 (che inizia il 1° ottobre 2002) a 379,3, cui se ne aggiungeranno 16,8 stanziati al Dipartimento dell’energia per il mantenimento dell’arsenale nucleare: in totale oltre 396 miliardi di dollari, circa la metà della spesa militare mondiale. E’ solo l’inizio: l’amministrazione intende stanziare nei prossimi cinque anni, come bilancio del Pentagono (compresa la spesa per l’arsenale nucleare), 2.100 miliardi di dollari. Tale somma non comprende le spese per le guerre (quella dell’Afghanistan costa oltre 2 miliardi di dollari al mese) e altre voci di carattere militare: tra queste, 40 miliardi annui spesi dal Dipartimento degli affari dei veterani e oltre 30 dalla Cia e altri servizi segreti solo per la struttura organizzativa.
La voce del bilancio che interessa più direttamente le industrie belliche è quella della acquisizione, ossia dell’acquisto di armamenti, che nel 2003 salirà a 68,7 miliardi di dollari (+ 12%). Ciò che conta non è tanto la spesa annua, quanto la somma complessiva che il Pentagono si impegna a spendere, in un certo numero di anni, per l’acquisto di un dato sistema d’arma: ad esempio, per il Joint Strike Fighter (il caccia realizzato dalla Lockheed con la Northrop Grumman come subcontrattista) verranno stanziati nel 2003 3,5 miliardi, ma il costo del programma, che prevede l’acquisto di 3.000 aerei a un prezzo unitario di 73 milioni, è di 219 miliardi di dollari. Secondo la stima ufficiale aggiornata al giugno 2002, la spesa complessiva per i 70 maggiori sistemi d’arma in corso di acquisizione è di circa 1.119 miliardi di dollari. L’altra voce importante per le industrie belliche è la spesa del Pentagono per la ricerca e sviluppo militare, salita nel 2003 a 53,9 miliardi (+ 11%), dato che essa permette loro di mantenere un vantaggio tecnologico sulle concorrenti. Ma, direttamente o indirettamente, le industrie belliche traggono beneficio dall’intera spesa militare e paramilitare, compresa quella per la «sicurezza della patria». L’apposito dipartimento, appena costituito, ha un bilancio annuo di 37 miliardi di dollari, parte dei quali andrà alle stesse industrie per l’acquisto di sistemi elettronici di sorveglianza e tecnologie dell’informazione. Se si spendono in tal modo oltre 500 miliardi di dollari annui (un quarto del bilancio federale), poco importa. Non si tratta di armi, ma di strumenti della lotta del bene contro il male. Come l’F-22 Raptor, «il caccia più potente del mondo»: esso serve – dichiarano la Boeing e la Lockheed Martin – ad «assicurare la benedizione della libertà a noi e ai nostri posteri».