Brecht non è in sordina

Il cinquantenario della sua morte sembra passare in sordina, ma Brecht – uno dei pochi scrittori veramente classici del Novecento – è destinato a ritornare prepotentemente sulle scene come in libreria. Protagonista per decenni del teatro e della letteratura di tutto il mondo, Brecht ha conosciuto la fisiologica, provvisoria eclissi che segue quasi sempre i periodi di trionfo di un autore, ma sono proprio gli eventi epoca li accaduti dopo la sua morte a fare di lui il poeta di una straordinaria, nuova attualità.
È ridicolo pensare che la caduta del comunismo, professato da lui talora pure con durezza didattica anche se non priva di sibilline riserve, possa sminuire la forza, la pregnanza, la grandezza della sua poesia. Brecht ritorna – e ritornerà sempre più -non già nonostante, bensì in virtù della carica politica della sua opera. Non è tanto il Brecht marxista ortodosso dei drammi didascalici che può dare voce al nostro sbanda mento, quanto il Brecht rauco e beffardo delle liriche e delle ballate – uno dei grandi poeti del secolo – e dei drammi ribelli ed epici, dall’Opera da tre soldi al Galilei, per citare solo alcuni dei capolavori. Può prestarci la sua voce, perché viviamo – sia pure in forme radicalmente diverse – una stagione non troppo dissimile dalla sua, da quegli anni sfrenati, cinici, teneri, perduti, sentimentali, disperati fra le due guerre, in cui si avvertiva la sensazione di vivere sull’orlo di un vulcano prossimo all’eruzione e ci si avviava, con allegra e febbrile incoscienza, incontro al diluvio. Certo, sotto tanti profili – economici, sociali, culturali – la nostra stagione appare tanto diversa da quella in cui Brecht e Weill, nell’Opera da tre soldi, intonavano l’immortale canzone di Salomone, struggente e beffarda vanità e cenere di tutte le cose; i nostri anni hanno creato, forse per un meccanismo di difesa, una specie di coltre di neve o di parete isolante che smorza e ottunde la percezione della realtà, il brontolio del terremoto e il fragore delle bombe.
La lava incandescente è coperta da uno spesso strato raffreddato e ci si illude di non bruciarsi mai i piedi. Ma la nostra ottusa sicurezza è sempre più scossa; il nostro giulivo gioco con la guerra, fiduciosi di poterlo fermare a nostro piacere, assomiglia all’ignara temerarietà dell’ est del 1914 o alla roulette russa dei soldati nel Vietnam, immortalata nel film Il cacciatore. Viviamo – almeno noi privilegiati – molto meglio delle generazioni che ci hanno preceduto, ma temiamo sempre più che i nostri figli e nipoti non godranno la nostra vita agiata e sicura; come ha detto Karl Valeritin, il geniale cabarettista che in un certo senso fu un maestro o un modello di Brecht, «allora il futuro era molto migliore».
Se pensato sino in fondo, questo pensiero è disperato e Brecht ha dato possente voce a tale sentimento di precarietà, di avido smarrimento, di rapace incertezza. Non era, a quanto pare, molto simpatico, e non solo perché ha scritto discutibili poesie in lode dell’infallibile Partito Comunista e dei suoi cento occhi che vedono tutto. Era brutalmente egocentrico e prevaricatore: il suo rapporto con gli altri – specialmente ma non soltanto con le donne – si basava sull’ «usa e getta»; i biografi dicono che non amasse troppo l’acqua e il sapone, nemmeno quando ciò poteva essere sgradevole per la partner del momento; anche sul piano etico-politico, in quegli anni peraltro terribili, gli si possono rimproverare ambiguità e colpevoli reticenze.
Ma è un poeta che ha guardato in faccia, capito ed espresso con eccezionale intensità, in numerose opere, gli inferi e le speranze del secolo, le sue contraddizioni, il nesso fra la storia generale, i rapporti sociali e la vitalità individuale. Tuffandosi a fondo nella contemporaneità anche più effimera e sbandata, Brecht è stato uno dei pochi classici in grado ai conciliare la ragione, la comprensione razionale del mondo e la fantasia più libera e scatenata che reinventa il mondo. Accanito difensore del progresso e della razionalità, ne ha denunciato in anticipo – ad esempio nel Galilei – le catastrofiche involuzioni distruttive. La concezione marxista, forse ultimo esempio di classicità, gli ha fatto toccare con mano l’essenziale della realtà sociale e umana ed è divenuta comprensione intellettuale e insieme senso poetico del reale. La sua opera esprime e al contempo supera la lacerazione che ha spaccato il Novecento fra un’arte classica, capace di razionalità e armonia ma impari alla negatività e allo sconquasso generale della realtà, e un’arte d’avanguardia, capace di esprimere e di assumere su di sé quel naufragio e quella negatività dell’epoca, ma a prezzo di una visione totale dell’uomo. Brecht è insieme un innovatore d’avanguardia e un classico pieno di sapienza; ha dato alla canzone da cabaret, senza nulla togliere al suo necessario sguaiato cinismo, una limpidezza da lirica greca, latina o cinese; ha fuso il caduco del varietà con l’eternità del salmo biblico. È uno dei pochi poeti moderni contemporanei di cui ci si sorprende a recitare le poesie come si canta una canzone: «E anche il bacio avrei dimenticato-così traduce Luigi Forte il Ricordo di Marie A. – senza la nube apparsa lassù nel cielo»…