Brasile: una politica estera sovrana e indipendente

Traduzione a cura della redazione di l’Ernesto online

*Emir Sader, sociologo brasiliano, docente universitario e ricercatore, attualmente coordina il Laboratorio di Politiche Pubbliche dell’Università di Stato di Rio de Janeiro ed è Segretario Esecutivo di CLACSO (Consiglio Latinoamericano di Scienze Sociali). E’ autore di numerose pubblicazioni.

Avvoltoi, urubù, tucani (1), tutti freneticamente contro un negoziato pacifico del conflitto intorno all’Iran, Perché è Lula che ha condotto i negoziati, il che rafforzerebbe ancor di più la sua immagine. In cambio un’eventuale sconfitta, anche se dovesse portare ad un nuovo conflitto bellico di immense proporzioni, potrebbe essere sfruttato internamente in termini elettorali tali da favorire l’opposizione, nei suoi meschini e disperati calcoli elettorali.

Non importa il destino del Medio Oriente, o del mondo, purché José Serra possa avere qualche speranza di essere eletto. Si dovrebbe eleggere un candidato che ha detto che Mercosur “è una farsa”, che il Brasile “ha fatto un pastrocchio” in Honduras, che il Venezuela nel Mercosur era “un’insensatezza”, che “non avrebbe invitato il primo ministro iraniano a visitare il Brasile, né che si sarebbe recato in visita in Iran”.

Che vada pure in malora la pace mondiale, di modo che la candidata di Lula non prosegua la sua ascesa nei sondaggi, per i quali già superebbe il candidato Serra secondo l’inchiesta dell’agenzia Vox Populi (2). Al diavolo la pace in Medio Oriente, se in cambio possiamo registrare qualche passo falso di Lula nel suo viaggio in Iran. Al diavolo il mondo, purché gli interessi della destra brasiliana vengano riscossi.

Questa visione ristretta, provinciale, deve fare i conti con l’importanza dell’accordo conseguito e delle sue ripercussioni internazionali. Tanto più in quanto tale accordo contraddice lo scetticismo del governo statunitense – Hillary Clinton ha parlato dell’altezza della montagna che Lula dovrebbe scalare per ottenere l’accordo – e dei portavoce della militarizzazione dei conflitti su scala mondiale. Dove altri hanno fallito o hanno scommesso sull’inutilità della ricerca di accordi negoziati, il Brasile ha vinto.

Il Brasile ha saputo cercare alleati – Russia, Cina, Turchia, Francia – per aprire uno spazio di negoziazione politica che si è dimostrato possibile e corretto. La posizione brasiliana, secondo cui gli Stati Uniti – e altre potenze –, con i loro immensi arsenali nucleari, non hanno l’autorità morale per cercare accordi che limitino la proliferazione dell’armamento nucleare, apre la strada ad altre iniziative di pace.

In Israele e Palestina, Lula ha lascito intendere chiaramente che gli Stati Uniti non rappresentano un buon negoziatore per la pace della regione, sia per essere parte integrante del conflitto, dal momento che definiscono Israele proprio alleato strategico, che per avere fallito nel corso del tempo, senza che si sia mai concretizzato l’accordo dell’ONU per garantire l’esistenza di uno Stato palestinese alle stesse condizioni dello Stato israeliano.

Mancava solo la presentazione della candidatura di Lula a Premio Nobel della Pace perché si sollevasse un immenso schiamazzo, allo scopo di non permettere che questo meritato riconoscimento proiettasse l’immagine del Brasile di nuovo soggetto della scena mondiale, di paese che contribuisce in modo effettivo al superamento di un mondo unipolare, sottoposto all’egemonia imperiale di un’unica superpotenza, alla creazione di un mondo multipolare.

Dobbiamo sentirci orgogliosi della diplomazia brasiliana e della politica internazionale del Brasile, e dell’operare di Lula e di Celso Amorim. Dobbiamo continuare a lottare per consolidare tali direttrici della politica estera brasiliana e contribuire a fare in modo che essa non solo continui, ma che si estenda e contribuisca ancora di più a costruire un mondo in cui le controversie non diventino oggetto di interventi militari, ma di negoziati politici, pacifici, che rispettino i diritti di tutti, specialmente di coloro che, finora, sono stati oppressi dalle potenze che concentrano i maggiori arsenali del mondo e pretendono di perpetuare il loro dominio in un ordine mondiale ingiusto.

(1) Nel simbolo del Partito Socialdemocratico Brasiliano (PSDB) figura l’immagine di un tucano.

(2) L’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto attribuisce il 38% a Dilma Rousseff e il 35% al candidato del PSDB, José Serra.