Jacques Chirac ha riunito ieri a Tolone un consiglio dei ministri ristretto. Il primo ministro Dominique de Villepin, i responsabili di difesa e esteri, Michèle Alliot-Marie e Philippe Douste-Blazy, hanno discusso con il presidente gli ultimi sviluppi della guerra tra Israele ed Hezbollah, mentre a New York l’ambasciatore francese, Jean-Marc de La Sablière, cercava di far accettare dagli Usa alcune delle richieste libanesi per permettere il voto della risoluzione sul cessate il fuoco. «Non voglio immaginare che non ci sia soluzione – ha commentato Chirac – poiché vorrebbe dire, e sarebbe la più immorale delle soluzioni, che viene accettata la situazione attuale e la rinuncia a un cessate il fuoco immediato». L’evidente fallimento della strategia di George Bush in Medio Oriente – rendere sicuro l’approvvigionamento di petrolio in un «grande Medio Oriente» – ha riportato in primo piano la diplomazia francese e la visione multilaterale dell’uscita dai conflitti nella regione. Jacques Chirac mantiene ferma la sua proposta: cessate il fuoco, negoziato per una soluzione politica e invio di una forza multinazionale di interposizione (ieri, ha affermato che potrebbe essere sul terreno nel sud del Libano «in un mese»).
Il multilateralismo avrebbe bisogno di un’Unione europea forte, ma la Francia, che si sente implicata in prima persona in Libano – ne è stata l’amministratrice sotto l’egida di un mandato della Società delle Nazioni tra il 1920 e il 1943 – va avanti da sola, in un tête-à-tête con gli Usa che ha già prodotto la risoluzione 1559 e che ora spera di portare a un cessate il fuoco. La Francia va avanti da sola, perché le titubanze di vari governi europei non permettono la definizione di una politica comune europea. Il multilateralismo di Chirac è però limitato dai suoi forti legami personali con una parte della classe dirigente libanese: era forte la sua amicizia con il presidente assassinato Rafic Hariri (che si dice abbia contribuito non poco dal punto di vista finanziario alle campagne presidenziali dell’amico francese). Per questo, in questi giorni, il fronte unito dei politici francesi dietro la diplomazia nazionale si è un po’ incrinato: l’ex ministro ed ex presidente della commissione affari esteri dell’Assemblea, Jack Lang, ha incontrato in una visita di 48 ore il presidente siriano Bachar Al-Assad e ha accusato Chirac di «intestardimento anti-siriano». Lang parla a «titolo personale», sottolineano al partito socialista. Per Lang, «l’interesse superiore della pace non deve scartare nessun paese da nessun incontro o accordo eventuale». Chirac aveva previsto l’ipotesi, purtroppo verificatasi, di una regressione generale nella violenza della regione, con il pericoloso congiungimento di due crisi, quella tra Israele e Palestina e quella del Golfo. Sulla base di questa constatazione, la Francia continua a pensare come nel passato che la strada per una soluzione duratura è prima la soluzione della questione palestinese poi quella della democrazia nella regione. Convinzione rafforzata dagli avvenimenti in Libano, che smascherano il gioco di Washington : praticamente il solo paese che ha messo in atto una democrazia con la «rivoluzione dei cedri» della primavera del 2005, che aveva l’appoggio di Washigton oltreché di Parigi, il Libano non è stato protetto dagli Usa, che hanno permesso l’attacco israeliano.
La ripresa del ruolo diplomatico della Francia ha anche ripercussioni in politica interna, a nove mesi dalle presidenziali. I candidati alla canditatura più nuovi, a destra come a sinistra, sono spiazzati dalle vecchie volpi della politica. Villepin, a terra nei sondaggi all’inizio dell’estate dopo crisi delle banlieues, Cpe e scandalo Cleastream, oggi è in ripresa, assieme a Chirac, al punto che ormai tutte le ipotesi sono aperte (persino quella di una ricandidatura Chirac). Nicolas Sarkozy è spiazzato e perde terreno, mentre Villepin coltiva il ricordo del famoso discorso all’Onu contro la guerra in Iraq del febbraio 2003 (e non deve temere la concorrenza del ministro degli esteri, Philippe Douste-Blazy).