Fosse già stato approvato il disegno di legge contro la violenza sulle donne firmato dalla ministra diessina Barbara Pollastrini, quanto avvenuto ieri non sarebbe potuto accadere. Punto e basta. E invece, siccome in giurisprudenza ogni interpretazione consolidata ha le sue eccezioni, eccone appunto spuntare una perfettamente in linea con le parole di Giulio Andreotti al Senato e la campagna anti-Dico della Chiesa ruiniana e di mezzo (o forse più) parlamento italiano.
Il fatto in sé non sarebbe stato di quelli da consegnare alla memoria, non fosse per il valore simbolico che assume in questo momento storico. In sintesi, la Quinta sezione della Corte di Cassazione ieri ha annullato una condanna a due mesi di reclusione e al risarcimento del danno a un uomo di Potenza accusato di aver picchiato la convivente. La Corte ha infatti ritenuto che a «il mero rapporto di convivenza more uxorio non è idoneo ad integrare l’aggravante» prevista in caso di violenze alla moglie. In parole povere, si può più impunemente schiaffeggiare la propria compagna rispetto alla moglie. In base a questo principio, l’uomo è stato condannato solo a una multa di mille euro.
La Cassazione ha interpretato l’articolo 577 del Codice penale, nella parte in cui è prevista l’aggravante per la sola commissione del fatto contro il coniuge e non all’ex coniuge o al convivente, nel senso che «il diverso trattamento normativo nei confronti del coniuge non è irrazionale, tenuto conto della sussistenza del rapporto di coniugio e del carattere di tendenziale stabilità e riconoscibilità del vincolo coniugale». La stessa Consulta, ricordano i giudici di piazza Cavour, «sebbene in relazione a una causa di non punibilità, ha evidenziato che non è irragionevole o arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, contemplata nell’articolo 29 della Costituzione, e per la convivenza more uxorio: venendo in rilievo con riferimento alla prima, a differenza che rispetto alla seconda, non soltanto esigenze di tutela delle relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione dell’istituzione familiare, basata sulla stabilità dei rapporti, di fronte alla quale soltanto si giustifica l’affievolimento della tutela del singolo componente».
Un’interpretazione differente da quella consolidatasi nella giurisprudenza degli ultimi anni, tanto che lo stesso ministero delle Pari opportunità, spiegando il testo di legge sulla violenza contro le donne, sostiene che l’equiparazione tra «maltrattamento in famiglia» e «il comportamento lesivo posto in essere nei confronti del convivente» non è altro che il riconoscimento di un orientamento consolidato nelle aule di tribunale. La legge «zapateriana» (la Spagna ha adottato simili provvedimenti immediatamente dopo la vittoria socialista alle elezioni) si spingerebbe anche oltre, inasprendo di un anno il minimo della pena detentiva, ed escludendo la possibilità di equiparare, nella determinazione della pena, circostanze attenuanti e aggravanti, facendo prevalere queste ultime.
Nonostante il clima infuocato sui Dico, la sentenza ha incontrato il silenzio assoluto del mondo della politica. Unica eccezione la deputata della Margherita Maura Leddi, che ha definito la sentenza «disarmante» e ha giudicato «inammissibile usare due pesi e due misure quando si parla di violenza sulle donne». «Credo che un pugno sia un sempre un pugno, qualunque sia il vincolo che lega due persone, ed è davvero una vergogna per la nostra società che ancora oggi, davanti alla violenza che colpisce il sesso femminile dentro e fuori casa, si possa eccepire e distinguere sulla pelle viva delle donne», ha concluso.