Boom dell’oppio in Afghanistan

I raccolti sono in crescita, un vero e proprio successo. In certe regioni le rese non sono state altissime a causa di una primavera insolitamente fredda, ma in compenso sono aumentate le terre coltivate. Inutile dire che i raccolti meravigliosi non riguardano grano o lenticchie ma il papavero da oppio… Ormai è risaputo, dal 2002 l’Afghanistan è tornato a essere il primo produttore mondiale della pianta da cui si trae la materia base dell’eroina. Lo era già alla fine degli anni `90, prima che il regime dei Taleban decidesse di far osservare con metodi draconiani il divieto di coltivare papavero: non si finirà mai di discutere se fu per compiacere le Nazioni unite o se per mantenere alto il prezzo degli stock accumulati. Sta di fatto che crollati i Taleban il papavero è di nuovo in auge, anzi, ha guadagnato zone dove era finora sconosciuto… Un reportage dalle montagne del Logar, nella parte orientale del paese, zona pashtun, spiega bene che per molti contadini è stata una manna («L’opium en afghan toute!», Libération, 26 agosto). Tra quelle montagne aride il papavero non era coltivato fino alla primavera scorsa, quando sono arrivati dei signori da Jalalabad, il capoluogo orientale. I trafficanti hanno proposto alle famiglie dei villaggi un accordo vantaggioso: bastava che mettessero a disposizione la terra, i «locatari» si sarebbero occupati di tutto, semina coltivazione e raccolta. I proprietari della terra avrebbero ricevuto la metà del valore dell’oppio, alla tariffa prevalente di 1.500 dollari il man (misura equivalente a 7 chili): fanno 200 euro al chilo. Molti hanno accettato, per la buona ragione che coltivando grano e legumi avrebbero guadagnato dieci volte di meno. La coltivazione e soprattutto il raccolto dell’oppio ha bisogno di manodopera qualificata: bisogna saper incidere la capsula che si ingrossa dopo la sfioritura, perché trasudi la resina che poi si confeziona in pani ed è l’oppio. Così nel villaggetto di Kopak – uno come tanti – una volta concluso l’affare e «affittate» le terre i locali hanno visto arrivare altra gente, pashtun e tajiki, portati su dai trafficanti; si sono accampati sulle colline con le loro tende, alcuni con donne e bambini al seguito, e sono rimasti là tutta la stagione. I coltivatori d’oppio sono braccianti ben pagati, molto più degli altri, perché è un lavoro specializzato: prendono 300 afghani al giorno, circa 6 euro. Il raccolto dell’oppio è stato fatto tra giugno e luglio, poi su quei campi è stata piantata la cannabis: il raccolto di hashish è imminente. I braccianti hanno avuto una buona stagione, i proprietari della terra sono soddisfatti (e pronti a ripetere l’affare l’anno prossimo), i trafficanti ancora di più. Il mullah del villaggio dice che coltivare stupefacenti è haram, contro la religione, ma si può capire, per gli abitanti è questione di sopravvivenza. La polizia dice che non può fare molto contro coltivatori e trafficanti, non ha mezzi. Le autorità a Kabul confermano. Nel marzo-aprile del 2002 c’erano perfino state proteste a Jalalabad, il capoluogo dell’Afghanistan orientale, quando il governo di Hamid Karzai aveva dato segno di voler far rispettare il divieto e distruggere le coltivazioni. Allora il governo – aiutato da finanziamenti internazionali – aveva promesso di versare 300 dollari per ettaro di papavero distrutto. La cosa non ha funzionato, anzi: sembra che sia stata un incentivo a coltivare il fiore rosso. In ogni caso la misura non è stata ripetuta quest’anno. Del resto tutti sanno che i trafficanti sono famiglie molto ricche. Che sono un fattore di corruzione, che sono legate o coincidono con piccoli potenti e «signori della guerra» locali. Che nella provincia di Badakhshan, a nord-est (altra zona «guadagnata» di recente dal papavero) sono sorte decine di piccoli laboratori per la prima trasformazione di oppio in eroina, che prenderà la via dell’Asia centrale. Il programma dell’Onu contro le droghe ha stimato per quest’anno la produzione d’oppio afghana sarà del 20% superiore a quella del 2002, circa tre quarti della produzione mondiale. Un vero successo.