Tra le bombe che piovono sui due milioni e mezzo di abitanti dell’area urbana di Tripoli, ora anche in pieno giorno, vi sono sicuramente quelle italiane. Si tratta di una «operazione aerea combinata» cui partecipano cacciabombardieri di più paesi, comunica il Comando della forza congiunta alleata a Napoli. In poco più di due mesi la Nato ha compiuto oltre 10mila operazioni aeree sulla Libia, di cui circa 4mila con bombe e missili, effettuate per la maggior parte da cacciabombardieri di Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada, e da aerei Usa Predator/Reaper telecomandati. L’aeronautica italiana non rivela quante bombe e missili ha lanciato (secondo una stima, oltre 200 in un mese), ma comunica di che tipo sono.
Nel documento «Unified Protector: le capacità di attacco dell’AM» (6 giugno), specifica che sono bombe a guida laser e Gps della statunitense Raytheon, dei tipi Gbu-16 Paveway II da circa mezza tonnellata e Gbu-24 Paveway III da una tonnellata: quest’ultima, sganciata a bassa quota a oltre 15 km dall’obiettivo, è «una bomba di precisione usata per distruggere i più resistenti bunker sotterranei». Anche la bomba Gbu-32 Jdam della statunitense McDonnell Douglas, a guida inerziale e Gps, lanciata a circa 25 km dall’obiettivo, viene usata contro «target rinforzati». Ciò significa che queste bombe hanno sicuramente testate penetranti a uranio impoverito e tungsteno per distruggere edifici rinforzati. Gli aerei italiani usano anche missili da crociera a lungo raggio Storm Shadow, fabbricati dalla Mbda di cui fa parte Finmeccanica, la cui carica esplosiva è «ottimizzata per neutralizzare strutture corazzate e sotterranee», e missili Agm-88 Harm della Raytheon per «la soppressione dei radar nemici».
Queste bombe e missili di ultima generazione – impiegati nella guerra contro la Libia, cui il governo Berlusconi fa partecipare l’Italia – non avrebbero potuto essere usati se nel 2007 il governo Prodi non avesse deciso di ammodernare i cacciabombardieri Tornado (con una spesa di oltre 50 milioni di euro), facendo tesoro dell’esperienza dei Tornado nella guerra contro la Jugoslavia, cui il governo D’Alema aveva fatto partecipare l’Italia. E’ grazie a questo impegno bipartisan che l’Aeronautica può oggi dichiarare di aver acquisito il «potere aerospaziale». Ciò significa – si spiega nel documento – avere assoluta libertà di manovra al di fuori delle limitazioni imposte dalla geografia del globo, dare massimo risalto alla mobilità (raggiungere sempre più in fretta lontani teatri operativi) e all’autonomia nel sostenere operazioni che possono protrarsi nel tempo. «Operazioni che hanno come imperativo quello di conseguire gli obiettivi posti dall’autorità politica al più basso costo possibile in termini di vite umane e risorse». Pensando ovviamente alle proprie vite e risorse, non a quelle che la guerra distrugge in Libia. Anche se, mentre anche gli aerei italiani lanciano su Tripoli bombe da una tonnellata a uranio impoverito, la Nato assicura che, in base alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, «scopo dell’operazione Protettore unificato è proteggere i civili e le aree con popolazione civile da attacco o minaccia di attacco».
(il manifesto, 9 giugno 2011)