Bombe sui civili e pochi aiuti, così fallisce la missione Isaf

L’ultimo episodio risale a ieri, quando almeno cinque civili sono rimasti feriti dal fuoco dell’artiglieria della Nato, nella provincia di Kunar, nell’Afghanistan orientale. La notizia è stata data dallo stesso contingente multinazionale dell’Isaf (di cui fa parte anche l’Italia). Secondo l’agenzia indipendente afghana Pajhwok, che cita fonti locali, uno dei civili è morto. I feriti sono almeno cinque: tre donne e due bambini. L’altro ieri elicotteri della Nato avevano scambiato per taliban un gruppo di poliziotti afghani, bersagliandoli di proiettili e ferendone tre. Dall’inizio dell’anno, i morti di civili causati da questi «incidenti» sono oltre 300 e stanno creando forte risentimento nella popolazione verso le truppe straniere e una crescente opposizione contro il governo del presidente Karzai.
L’uccisione del mullah Dadullah, avvenuta nel maggio scorso ad opera delle forze speciali britanniche, ha privato i taliban di un abile comandante militare, ma i massacri di civili stanno alienando completamente le pur timide simpatie che una parte della popolazione locale aveva nutrito per le truppe straniere dopo la fine del regime dei taliban.
Se le stragi di civili sono una componente importante del fallimento dell’Occidente nell’Afghanistan del dopo-taliban, un altro elemento è quello dell’inefficacia degli aiuti internazionali. I finanziamenti promessi all’Afghanistan sono minori di quelli ricevuti da tanti altri paesi dove c’era da far fronte a una situazione post-bellica e comunque non sono riusciti a rendere davvero indipendente e funzionante il governo di Kabul, che deve dunque fare i sempre i conti con signori della guerra e clan locali. In una situazione del genere una strage di civili ad opera di truppe straniere in aree con scarso controllo da parte del governo centrale si trasforma in un potente boomerang contro il presidente Karzai.
È stata la stessa Banca mondiale a denunciare gli «errori» commessi nel sistema degli aiuti: la qualità di beni e servizi forniti resta molto scarsa e capita spesso che in scuole finanziate con gli aiuti e attraverso progetti di sviluppo gli alunni facciano ancora lezione sotto tende improvvisate.
La maggior parte dei funzionari che si occupano dei progetti – ha denunciato recentemente la Bbc sul suo sito internet – percepisce stipendi molto alti, vive totalmente separata dalla popolazione locale per i rischi connessi alla sicurezza e lavora con contratti a termine di breve durata. La conseguenza è che una gran parte dei fondi per lo sviluppo del Paese torna indietro ai ricchi stati donatori.
In una situazione così instabile, per sconfiggere il nemico i taliban hanno importato le tattiche «irachene»: attentati suicidi e rapimenti. Il numero dei sequestri è cresciuto in particolar modo negli ultimi due anni. Il 16 maggio 2005 venne catturata Clementina Cantoni, milanese di 32 anni, fatta prigioniera da un gruppo di banditi nel pieno centro di Kabul. La cooperante di «Care international» venne rilasciata il 9 giugno, dopo tre settimane di prigionia. Due mesi dopo sorte peggiore toccò a David Addison, ingegnere britannico rapito nella provincia di Farah. Il corpo di Addison venne trovato il 3 settembre. La sua uccisione rivendicata dai taliban. Il 12 ottobre dell’anno scorso toccò al fotoreporter italiano Gabriele Torsello, scomparso durante il tragitto in autobus da Lashkagah e Kabul e liberato il 3 novembre. Il 4 marzo scorso l’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, fu rapito nel distretto meridionale di Helmand, insieme con Ajmal Naskhbandi e Sayed Agha, interprete e autista afghani. Il 16 marzo l’autista viene decapitato da un gruppo di talebani capeggiati dal mullah Dadullah. Mastrogiacomo il 19 marzo arrivò nell’ospedale di Emergency a Lashkagah, ma dell’interprete non si ebbero notizie. Più tardi un portavoce talebano annuncerà che era stato ucciso.