Bombe israeliane sui bagnanti di Gaza

È sempre affollata la spiaggia di Sudanya il venerdì. Ci vengono le famiglie di Beit Lahya a godersi l’unica vacanza possibile per chi non ha soldi da spendere e non può lasciare Gaza senza un permesso israeliano. I Ghalia – padre, madre e bambini – erano tra i frequentatori più assidui del lido alla buona sistemato da un uomo d’affari della zona: qualche ombrellone, un chiosco di bibite e gelati, niente di più. Ieri avrebbe potuto essere un’altra giornata lieta per i Ghalia, lontano dai raid aerei e dal fuoco dell’artiglieria israeliana che ogni giorno prendono mira, almeno ufficialmente, i tubi di lancio dei razzi artigianali Qassam che i militanti delle organizzazioni armate palestinesi sparano verso Sderot e altre città israeliane. Invece quelle sulla spiaggia di Sudanya sono state le ultime ore di vita per gran parte della famiglia Ghalia. «È accaduto tutto all’improvviso – ha raccontato Abed Yazji, un testimone – i colpi sono caduti tra la gente, sono scappato in preda al panico. Poi quando la paura è passata sono tornato alla spiaggia ed ho visto tanti corpi sulla sabbia, feriti insanguinati che urlavano e bambini che piangevano». Per i Ghalia la vita era finita qualche attimo prima: padre, madre, una sorella e tre bambini (di cui due di 6 e 18 mesi) sono morti sul colpo. Tra le vittime c’è anche un giovane. Oltre quaranta i feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. Le televisioni hanno trasmesso le immagini strazianti di una bambina, rimasta sola sulla spiaggia, in disperata ricerca del padre da lei trovato pochi istanti dopo, esanime, riverso su una duna di sabbia. Ma chi ha sparato e da dove? Nel tardo pomeriggio di fronte alla costa di Gaza avevano preso posizione alcune motovedette israeliane. Il portavoce militare ha spiegato che avevano il compito di bloccare con i missili alcuni militanti dell’Intifada che si accingevano a lanciare razzi. Di certo i bagnanti sono stati investiti da una o più esplosioni, e presto i feriti si sono contati a decine. Tel Aviv ha espresso «rammarico» per le vittime innocenti e il capo di stato maggiore Dan Halutz ha bloccato i raid contro i palestinesi. Nel luglio del 2002 proprio Halutz, a quel tempo comandante dell’aviazione, ordinò ad un F-16 di colpire con una bomba di una tonnellata un edificio di Gaza city in cui era rifugiato Salah Shahade, uno dei più importanti capi militari di Hamas. Nel bombardamento rimasero uccise una quindicina di persone tra cui molti bambini. Alla critiche dei pacifisti israeliani, Halutz replicò che «lui la notte dormiva senza problemi».
La giornata di sangue vissuta da Gaza rischia di riportare Hamas sul terreno della lotta armata che ha abbandonato nel marzo dello scorso anno per partecipare alle elezioni di gennaio. Il braccio armato del movimento islamico, Ezzedin Al-Qassam, ha proclamato che la tregua con Israele non è più valida. Una reazione forte, dovuta non solo alla strage di Sudanya ma anche all’uccisione, giovedì sera, di Jamal Abu Samhadana, capo dei Comitati di resistenza popolare (Crp) e da qualche settimana comandante della milizia dispiegata da Hamas nelle strade di Gaza, sorpreso da un aereo israeliano mentre addestrava i suoi uomini in un campo nei pressi di Rafah. Ai funerali di Abu Samhadana ieri hanno partecipato decine di migliaia di palestinesi che hanno chiesto vendetta per questo ennesimo «assassinio mirato». Sempre ieri altri tre militanti dei Crp – tutti della stessa famiglia – sono stati uccisi a Beit Lahya e altri sei sono rimasti feriti in due raid aerei a nord di Gaza. «Quello condotto a Gaza è un massacro sanguinoso contro il nostro popolo, i nostri civili, senza discriminazione», ha detto il presidente Abu Mazen. «Mi rivolgo alla comunità internazionale, al Consiglio di Sicurezza, al Quartetto affinché mettano fine a questa politica mortale di Israele».
L’offensiva israeliana è arrivata in piena crisi politica palestinese e poco dopo l’annuncio della data del referendum sul documento, preparato dai detenuti politici, che prevede il riconoscimento implicito di Israele, contestato da Hamas e fortemente voluto da Abu Mazen. Oggi il presidente dovrebbe annunciare la convocazione della consultazione per il 31 luglio, che secondo molti potrebbe costringere il governo di Hamas alle dimissioni in caso di una vittoria dei «sì». Un recente sondaggio, ha rivelato che il 77% della popolazione palestinese è favorevole al referendum e pensa di rispondere positivamente alla richiesta di Abu Mazen. Il premier Ismail Haniyeh ieri pomeriggio ha lanciato un monito al presidente, affermando che l’iniziativa potrebbe provocare una «spaccatura storica» fra i palestinesi. Nello scontro politico in atto in Palestina cerca poi di inserirsi Al-Qaeda. Ieri Ayman Zawahri, il numero due della organizzazione guidata da Osama bin Laden in un messaggio diffuso dalla Tv araba Al-Jazira, ha chiesto «ai musulmani di rifiutare qualsiasi referendum: la Palestina – ha detto – non può essere oggetto di mercanteggiamenti».