Bolkestein, la Commissione tenta di riportare la direttiva sulla strada dell’iperliberismo

Se qualcuno aveva pensato che il genio malefico della Bolkestein fosse rientrato nella lampada si è proprio sbagliato. Dopo aver occupato lo scenario politico, sociale e mediatico, la direttiva europea sui servizi si era quasi dissolta, evaporata nella cortina fumogena del compromesso (cattivo) raggiunto al Parlamento Europeo e targato grande coalizione tedesca. La dirigenza della Ces si era detta lieta della vittoria raggiunta, nonostante ampi settori sindacali avessero continuato a criticare il testo e a mobilitarsi, al pari dei movimenti sociali che hanno alimentato la campagna stop Bolkestein. Schulz e Pottering, capigruppo socialista e popolare all’europarlamento, avevano cantato vittoria il giorno che la Commissione ha dichiarato di voler assumere quel compromesso come proprio. Ma i vapori della maladirettiva hanno continuato ad agire nell’aria europea, nel tentativo di riprendere una forma compiuta. E la commissione Barroso sta operando perché questo succeda.
Sono ben tre i testi interpretativi della Bolkestein, non a caso ispirati dal Dipartimento Mercato Interno, prodotti dalla Commissione. Il primo risale al 4 aprile e riguarda la direttiva relativa al distacco dei lavoratori. Si era detto che i diritti del lavoro non erano toccati dalla direttiva servizi. Ma la Commissione rimprovera gli Stati membri proprio perché pongono troppi ostacoli ai prestatori di servizi che vogliano impiegare lavoratori distaccati. Seguendo l’impianto dell’esecutivo Barroso, infatti, alcune norme a tutela dei lavoratori distaccati sono «vincoli eccessivi» per la libera circolazione dei servizi. Questo è molto preoccupante perché già oggi le tutele per questi lavoratori risultano poco esigibili e controllabili. La seconda comunicazione arriva 16 giorni dopo, il 20 aprile, e mira ad organizzare una consultazione sul mercato interno. Il problema è che non è rivolta ai cittadini ma solo ai managers di impresa. L’unico tema a cui fa riferimento espressamente questo testo è la libertà di installarsi e di disimpegnarsi senza limiti dalle attività esportate nei vari Paesi. Da ultima, il 26 aprile, ecco la comunicazione sui cosidetti servizi di interesse generale: ogni Stato membro è libero di definire cosa intenda per «servizi di interesse economico generale» e «servizi sociali di interesse generale» che sono esclusi dal campo di applicazione della Bolkestein. D’altra parte però la Comunità europea richiede agli Stati membri di applicare alcune regole comuni per arrivare ad una definizione comune di questi servizi che, escludendo quelli sanitari, ancora manca. E mancherà per altri due anni almeno, il tempo che la Commissione si prende per stilare un rapporto e ri-esaminare la situazione. Nel frattempo, vale la giurisprudenza dei trattati e l’ultima parola spetta Corte di Giustizia.

Questi testi dunque parlano solo di mercato: lo sbilanciamento della Commissione verso un’interpretazione iperliberista è fortissimo. I socialisti, che richiedevano una direttiva europea sui servizi economici generali, appaiono adesso del tutto spiazzati. E questa nuova realtà smaschera la natura effettiva del compromesso della Grosse Koalition. Quello che servirebbe, all’opposto, è un testo sul carattere universale, esigibile, partecipato e ambientale dei servizi, una norma quadro che assuma il terreno dei beni comuni, come è accaduto di recente nella votazione parlamentare sull’acqua. Abbiamo fatto bene a non credere alla favola della dissoluzione dello spettro, ed è bene che si rilanci la lotta anche in vista dell’arrivo in aula del nuovo testo della Commissione. Perché il compromesso parlamentare di fronte a queste tre pesanti comunicazioni pesanti diventa una pura foglia di fico.