Bolkestein approvata, tanti rischi

La direttiva sulla liberalizzazione dei servizi in Europa è ormai cosa fatta. Il Parlamento l’ha approvata in seconda lettura mercoledì mattina, ora toccherà ai 25 firmarla. Quindi, tra tre anni, la direttiva diventerà legge nei 27 paesi che per allora formeranno la Ue. Finisce così, quasi in sordina, l’iter comunitario della direttiva forse più polemica nella storia dell’Europa unita, una fine strana per chi ha mosso piazze, acceso dibattiti, mobilitato migliaia di persone in tutto il continente e pesato in maniera decisiva sul voto francese che ha affossato la Costituzione europea. I fautori della norma – socialisti, popolari e liberali – preferiscono ora non chiamarla più Bolkestein e ricordare gli effetti benefici che porterà su un settore che già muove il 70% del Pil europeo; i suoi detrattori – verdi e comunisti – amano invece mantenere il tetro nome del commissario al mercato interno della Commissione Prodi che il 13 gennaio 2003 la presentò al grande pubblico e rammentare i rischi che ancora gravano su lavoratori e consumatori. Vediamo cosa è cambiato e cosa rimane di questa direttiva.
Il tanto discusso principio del paese d’origine, secondo cui un lavoratore sottostà alla legislazione del paese in cui ha sede l’impresa e non di quello in cui presta fisicamente il servizio, è stato cancellato già a febbraio nel voto in prima lettura al Parlamento europeo. Ma la cancellazione non è completa, visto che il principio continuerà a valere per i lavoratori autonomi (e per i falsi autonomi, in aumento), e soprattutto non cancella i rischi di dumping sociale. Ai lavoratori dipendenti all’estero verrà infatti applicata la direttiva sui lavoratori distaccati che oltre a prestarsi a dubbie interpretazioni (vari casi sono di fronte alla Corte di giustizia del Lussemburgo), non chiude la partita visto che si continua ad applicare la normativa previdenziale del paese d’origine.
Cambiamenti anche nel campo di applicazione della direttiva, che risulta ampiamente sfoltito, però in maniera poco chiara: esclusi dalla Bolkestein la sanità, i servizi sociali di prossimità, quali le case popolari, gli asili e gli aiuti alle famiglie o persone in difficoltà (ma solo se forniti dallo Stato, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute dallo Stato), gli audiovisi, compreso il cinema, le agenzie interinali, quelle di sicurezza, i notai e le lotterie. Fuori anche quei servizi per cui esiste una normativa ad hoc, come i servizi finanziari, banche, assicurazioni, attività creditizie, investimenti e fondi; escluse anche le poste, i trasporti, l’acqua, il trattamento dell’acqua e quello dei rifiuti. Verranno liberalizzati invece i servizi alle imprese, come la consulenza legale o fiscale, la manutenzione degli uffici e la pubblicità ed anche il settore immobiliare, dalle agenzie all’edilizia, passando per gli architetti. Nella direttiva ricade anche il turismo, i centri sportivi, i parchi divertimento e il noleggio auto, ma possono anche farne parte i servizi a domicilio, compresa l’assistenza agli anziani (servizi dunque sociali).
Per i settori inclusi, la Bolkestein si risolve in una serie di semplificazioni amministrative che gli Stati membri sono obbligati a concedere alle società di altri paesi Ue, a cui viene riconosciuto formalmente il «diritto a prestare un servizio» ovunque nella Ue e che pertanto non possono subire «discriminazioni» nei confronti delle imprese di casa. Ogni Stato potrà apportare delle limitazioni a questa libertà di stabilimento solo per ragioni di «necessità», ossia per «ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell’ambiente», e dovrà farlo in maniera «proporzionale». Lo Stato dovrà notificare a Bruxelles quei settori chiusi alla liberalizzazione e spiegare il perché. I dati verranno inseriti in un Registro pubblico europeo, caldeggiato dai paesi dell’est per avere più chiarezza e premere su chi attua deroghe.
È stata invece Londra ad imporre la cancellazione del richiamo alla Carta europea (che riconosce esplicitamente il diritto allo sciopero): per questo i sindacati uniti nella Ces si sono allarmati.