Bolkestein alla prova finale

Socialisti e popolari europei lanciano una «terza via» per la Bolkestein, un cammino che giunge all’eliminazione del discusso principio del paese d’origine ma che alla fin fine non sembra rispondere né alle esigenze liberalizzatorie delle imprese né tantomeno alla protezione dei diritti dei lavoratori. «Non parliamo più di principio di paese d’origine né di paese di destinazione – spiega Evelyne Gebhaerdt, socialista tedesca nonché relatrice del rapporto sulla liberalizzazione dei servizi – il principio è sparito. Adesso ci riferiamo agli ostacoli che devono essere eliminati dagli Stati membri per permettere la libera circolazione dei servizi». L’accordo tra i due maggiori gruppi dell’Europarlamento è emerso ieri dopo giorni di febbrili negoziazioni ed è stato siglato dalla stessa Gebhaerdt e da Malcolm Harbour, il conservatore britannico incaricato di seguire il dossier per il Ppe. Al di là della firma, continuano le tensioni tanto nel Pse quanto nel Ppe, segno evidente che la «terza via» convince assai poco, da un lato e dall’altro. Inoltre continua la battaglia sull’altro aspetto incriminato della direttiva: il campo di applicazione. E così martedì prossimo, giorno in cui si vota la Bolkestein, tutti i gruppi politici, dai comunisti all’eurodestra, passando per verdi, Pse, liberali e Ppe, arriveranno a Strasburgo con liste diverse, da un lato per escludere i servizi economici di interesse generale e dall’altro per farceli entrare.

In concreto l’opera di rimodellazione svolta dalla coppia Gebhaerdt-Harbour sul testo partorito dall’allora Commissione Prodi – il Professore la settimana scorsa affermava di aver «lavorato molto per inserire nel testo vari aspetti sociali» (!) – obbliga gli stati ad aprire i mercati dei servizi assicurando alle imprese estere un trattamento di «non discriminazione» in rapporto a quelle locali. Al tempo stesso i requisiti richiesti da un paese a una società devono essere «necessari», ossia «giustificati da ragioni di protezione della salute o dell’ambiente» (ma non del lavoratore), e «proporzionali». «I diritti diventano aleatori – controbatte Roberto Musacchio europarlamentare di Rifondazione comunista – perché devono sottostare alla logica della proporzionalità e della non-discriminazione. Così si dà un potere enorme a chi dovrà valutare questi due concetti». E difatti non è dato un metro di giudizio chiaro e così emerge il rischio concreto che per ogni caso di discriminazione, da un lato e dall’altro (sull’impresa e sui lavoratori), si debba ricorrere alla Corte di giustizia del Lussemburgo. Esattamente come succede ora.

Scavando negli articoli e andando sul concreto si prospettano due scenari diversi. Per i lavoratori autonomi, mettiamo il famoso idraulico polacco che va a lavorare in Francia, varrà il principio del paese d’origine: potrà decidere il costo della prestazione basandosi sul fatto che sottosta alle norme previdenziali polacche. In pratica un dumping sociale che rimane e che si farà sentire soprattutto nelle zone di confine tra vecchi e nuovi stati membri.

Se invece l’idraulico vince un bell’appalto e arriva in Francia con dei dipendenti, su questi ultimi non varrà più il principio del paese d’origine, ma la direttiva sui lavoratori distaccati in vigore dal dicembre 1999. La norma dice che ai dipendenti stranieri devono venire applicate le leggi del paese in cui lavorano per quel che riguarda il salario minimo (se esiste) e l’orario di lavoro, mentre per i contributi e la previdenza sociale vale la legge del paese d’origine dell’impresa. «La direttiva sui lavoratori distaccati non è per nulla perfetta», commenta il verde belga Pierre Jonckheer. Tanto imperfetta da aver alimentato vari casi, tra cui l’affaire Vaxholm, dalla cittadina svedese in cui un gruppo di operai lettoni lavorava in barba ai contratti collettivi svedesi. Socialisti e popolari chiedono alla Commissione di migliorare tale norma, ma per ora Barroso e soci si sono negati a farlo. Inoltre il doppio binario di trattamento non farà altro che alimentare la pratica dei falsi autonomi, ossia dei lavoratori obbligati dall’impresa ad acquisire lo status di indipendente.

In pratica l’accordo Pse-Ppe non aggiunge molto a come stanno adesso le cose, ossia non si capisce bene a cosa serva, oltre a erodere i diritti dei lavortori. Ed oltretutto non convince nemmeno i due gruppi politici interessati. I socialisti francesi e belgi sono sul piede di guerra e hanno minacciato di chiedere il rigetto in toto della direttiva (la posizione dei comunisti e dei verdi), altri, tra cui il Ds Berlinguer, hanno espresso dei forti dubbi. La Confederazione dei sindacati europei, Ces, non si esprime ancora, divisa tra aspetti considerati positivi ed altri negativi, intanto ricorda le manifestazioni di sabato in Germania e la grande Euromanifestazione prevista per martedì 14 a Strasburgo giusto mentre il Parlamento è chiamato a discure la direttiva. Il voto è in scaletta per il 16.