Bioterroristi. Chi?

Si è aperta l’11 novembre a Ginevra, con la partecipazione di 146 paesi, la conferenza sui possibili meccanismi di verifica della Convenzione internazionale sulle armi biologiche, il trattato del 1972 che proibisce lo sviluppo, la produzione e il possesso di agenti biologici utilizzabili a fini bellici. Il trattato è rimasto finora sulla carta, in quanto non prevede misure di verifica. Tutte le maggiori potenze, pur avendolo ratificato, hanno avuto così praticamente mano libera per sviluppare nei propri laboratori armi biologiche sempre più micidiali: batteri e virus che, disseminati per via aerea o attraverso vettori (pulci, mosche, zecche), sono in grado di scatenare epidemie nel paese bersaglio. Tra questi vi sono il batterio Yersinia Pestis, causa della peste bubbonica (la temutissima «morte nera» del Medioevo) e il virus Ebola, contagioso e letale, per il quale non è disponibile alcuna terapia. Con le tecniche della moderna ingegneria genetica, si possono produrre oggi anche agenti biologici a cui la popolazione bersaglio non sarebbe in grado di resistere, non disponendo del vaccino specifico. Vi sono inoltre seri indizi sull’esistenza di ricerche finalizzate allo sviluppo di un’arma biologica in grado di annientare il sistema immunitario, con effetti analoghi a quelli dell’Aids.

Queste e altre armi biologiche si stanno sviluppando nei laboratori militari delle maggiori potenze. E’ però possibile che anche altri paesi, a livello scientifico più basso, possano realizzare armi biologiche che, anche se rudimentali, sarebbero comunque pericolose. I moderni eserciti sono dotati di sensori che segnalano la presenza di agenti patogeni e hanno sistemi di protezione e vaccini. E’ invece impossibile proteggere la popolazione civile da un attacco con armi biologiche. Anche perché esse hanno un tempo di incubazione molto breve e non sono facilmente identificabili: si possono infatti usare agenti patogeni endemici nella popolazione bersaglio o in grado di mimare una infezione endemica.

Dato il crescente pericolo di proliferazione di tali armi, diviene sempre più urgente stabilire meccanismi di verifica che rendano operativo il trattato. C’è però un ostacolo che lo impedisce: il rifiuto dell’amministrazione Bush di sottoscrivere un accordo che permetta ispezioni nei laboratori dei paesi aderenti alla Convenzione, in quanto – argomentano a Washington – esse renderebbero possibile lo spionaggio industriale ai danni delle industrie farmaceutiche statunitensi. Il primo tentativo di stabilire meccanismi di verifica, nel luglio 2001, è così fallito. Vi è ora la pratica certezza che anche la conferenza in corso a Ginevra si concluda con un nulla di fatto: l’amministrazione Bush ha fatto sapere, alla vigilia, che gli Stati uniti intendono rimandare ogni discussione al 2006.

Perché Washington non voglia ispezioni nei laboratori statunitensi appare chiaro da un’inchiesta del New York Times (4 settembre 2001), in cui si rivela che il Pentagono ha costituito nel Nevada un laboratorio segreto, in cui «simula» la produzione di agenti patogeni per la guerra biologica, e che «programmi analoghi, iniziati sotto il presidente Clinton, sono stati fatti propri dall’amministrazione Bush, che intende espanderli». Tra questi, «un piano per produrre con l’ingegneria genetica una variante potenzialmente più efficace del batterio che provoca l’antrace, una malattia mortale ideale per la guerra batteriologica»: la stessa variante usata negli attentati terroristici all’antrace dopo l’11 settembre.

Ma, mentre rifiuta qualsiasi ispezione nei laboratori statunitensi, l’amministrazione Bush pretende che quelli iracheni siano ispezionati a fondo per ricercare presunte armi biologiche. Sostiene anche che esse sono in possesso di altri «stati canaglia» – Iran, Libia, Corea del nord, Cuba – che prima o poi ne dovranno rispondere di fronte al tribunale supremo di Washington. Su quale base giuridica l’amministrazione Bush fondi il suo rifiuto delle ispezioni e la contemporanea pretesa che altri paesi siano sottoposti a ispezioni e puniti con la guerra, viene chiaramente enunciato nel documento della Casa bianca The National Security Strategy of the United States (20 settembre 2002) «E’ il momento di riaffermare il ruolo essenziale della forza militare americana. Le nostre forze saranno abbastanza potenti da dissuadere potenziali avversari dal perseguire uno sviluppo militare nella speranza di sorpassare, o uguagliare, la potenza degli Stati uniti».