Secondo una norma del Social Security americano la famiglia di un lavoratore che dovesse improvvisamente morire prima di andare in pensione riceve 255 dollari. Attraverso quale calcolo l’entità di quella somma sia stata decisa non si sa con certezza, ma la definizione che di solito se ne dà è che si tratta «del costo del funerale negli anni Cinquanta, mai adeguato all’inflazione». Ebbene, il bilancio appena presentato da George Bush al Congresso prevede l’eliminazione di quella norma, subito assurta al ruolo di «simbolo idelogico», specie dopo che John Snow, il segretario del Tesoro, ha indicato quella decisione come una prova «dell’impegno del presidente alla disciplina fiscale, all’efficienza del governo e alla continuazione sulla strada della prosperità economica» riuscendo perfino a restare serio. Questo bilancio «è una fiction – dice in New York Times – che oltre tutto costituisce un plagio delle fiction precedenti». Un bilancio «in fondo è una somma di scelte morali», dice John Spratt, il leader dei democratici alla commissione Bilancio della Camera. «Qui, ogni scelta è sbagliata». «Questo bilancio – incalza un altro democratico, il senatore Tom Harkin – ignora proprio ciò cui dovremmo tenere di più: la ricerca scientifica, l’assistenza ai nostri anziani, l’educazione dei nostri figli». La sostanza dei numeri dati da Bush infatti è di tanti cannoni e niente burro. Nei 2.700 miliardi che intende spendere nell’anno fiscale 2007, che comincia il prossimo primo ottobre, ci sono aumenti nelle spese del Pentagono, aumenti nelle spese per «la sicurezza del popolo americano» e diminuzioni per tutto il resto, dall’assistenza medica all’educazione, dalla ricerca scientifica ai trasporti, e poi alla giustizia, all’agricoltura, insomma a tutti i programmi sociali, per 141 dei quali è stata decisa addirittura la cancellazione che comporterà un risparmio – secondo le affermazioni di Snow – di 15 miliardi di dollari. Ma anche così il deficit è destinato ad aumentare perché le spese previste sono superiori alle entrate, ancora una volta falcidiate dai privilegi fiscali per i più ricchi che Bush ha decretato appena arrivato al potere e che costituiscono l’unica cosa che lui ha coerentemente mantenuto, cosicché il debito pubblico è destinato ad arrivare a 423 miliardi di dollari, mentre lui promette – come fa da cinque anni a questa parte, cioè da quando gli Stati Uniti sono passati dal «surplus» prodotto da Bill Clinton al deficit creato da Bush – di ridurre il debito medesimo della metà entro il 2009, cioè l’anno in cui lascerà la Casa Bianca. In seguito a questo ulteriore incremento, invece, nelle prossime settimane è previsto che al Congresso arriverà la richiesta di alzare il «tetto» del debito possibile fino alla somma astronomica di 8.180 miliardi di dollari.
Chi lo pagherà, quel debito? «L’America, con le sue richieste di prestiti, sta rastrellando l’80 per cento del risparmio mondiale», dice il senatorre democratico Max Baucus. «In pratica, stiamo trasferendo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli degli oneri finanziari enormi nei confronti di una miriade di banche centrali straniere». Ma John Snow – il già citato segretario del Tesoro che prese prontamente il posto di Paul O’Neill quando se ne andò sbattendo la porta per non essere complice, disse, «dell’insensata politica fiscale pretesa da Dick Cheney» – si rallegra del fatto che gli Stati Uniti «siano in grado di pagare gli interessi sul debito» e che quella loro possibilità costituisca «una prova della vitalità della nostra economia». Con i tagli inflitti a tutti i programmi sociali, Bush ha definitivamente rinnegato le promesse fatte a suo tempo, quando cominciò a «correre» per la presidenza (e a tutti sembrava una cosa fuori da ogni logica), e cioè il famoso «nessun bambino deve restare indietro» e l’altrettanto famoso «il mio è un conservatorismo compassionate». In compenso un’altra delle sue promesse, quella di essere «un presidente che unisce, non che divide», risulta realizzata. Contro il suo bilancio, infatti, si è creata una bipartisanship che non si vedeva da anni. Oltre agli «ovvi» democratici, infatti, ecco Arlen Specter, l’influente presidente repubblicano della commissione Giustizia del Senato, dirsi «scandalizzato» dai tagli all’educazione; la senatrice Olynpia Snowe, un’altra repubblicana, dichiararsi «sorpresa e delusa» dei tagli proposti per il Medicaid e Medicare, cioè l’assistenza medica per i poveri e i pensionati; e Charles Grasseley, il presidente repubblicano della commissione Bilancio del Senato, affermare che Medicaid e Medicare sono talmente ridotti all’osso che «ogni ulteriore riduzione sarà estremamente difficile». Il dissenso repubblicano è naturalmente un po’ peloso. A novembre ci sarà il voto di mid term, tutti i deputati, un terzo dei senatori e un certo numero di governatori dovranno affrontare il voto e quelli che in questi anni hanno seguito Bush in tutti i suoi sperperi cominciano a sentire il freddo ai piedi.