Sono 622 gli ex dipendenti dell’Eternit di Casale Monferrato (Alessandria) morti per cause riconducibili all’esposizione all’amianto. «Purtroppo – dice l’avvocato Sergio Bonetto – non è un dato nuovo. Ma è bene sempre ricordarlo». Come è sempre bene ricordare che la procura di Torino sta portando avanti ormai da oltre due anni un’inchiesta sui proprietari svizzeri della multinazionale. Secondo gli esperti interpellati dal pubblico ministero, Raffaele Guariniello, rispetto alla media italiana di morti per amianto a Casale ci sono stati ben 511 morti in più. Se infatti considerata la popolazione della zona di Casale ci si aspettavano 103 casi di tumore polmonare, in realtà gli esperi ne hanno riscontrati ben 249. Lo stesso scarto si è verificato nei morti per mesotelioma pleurico: 4 stando alla media nazionale, in realtà ce ne sono stati 135. Se i dati nazionali portavano a ritenere che i morti per mesotelioma peritoneale nella zona di Casale potevano arrivare a tre, in realtà ce ne sono stati ben 52. Infine, si ipotizzava un solo morto per asbestosi, ma la realtà parla di 186 decessi. Il monitoraggio ha interessato i 3440 operai che hanno lavorato nello stabilimento Eternit di Casale dal 1950 alla sua chiusura, all’inizio degli anni ’80.
Il procuratore Guariniello sta procedendo contro i vertici della Eternit svizzera per i circa 1300 morti registrati nel territorio italiano. Oltre allo stabilimento di Casale, infatti, la multinazionale aveva sedi in Cavagnolo (Torino), Reggio Emilia e Napoli. Gli indagati sono i fratelli Thomas e Stefan Schmidhaeny e il belga barone Louis De Cartier de Marchienne. L’ipotesi di reato è quella di disastro doloso (che prevede una pena fino a 12 anni di carcere), l’omicidio colposo e l’omissione volontaria di misure contro gli infortuni. I fratelli Schmidhaeny fanno parte di una delle più ricche famiglie di industriali della Svizzera. Fanno affari un po’ in tutto il mondo, in attività anche molto diverse tra loro. Nel corso delle sue indagini la procura di Torino ha chiesto alla Suva (una compagnia assicurativa svizzera) una serie di informazioni, ma per il momento la rogatoria è ferma. «Non stupisce – commenta Bonetto, difensore dei familiari delle vittime – visto che sono stato la scorsa settimana in Svizzera, assieme all’associazione familiari, per un’assemblea con i dipendenti dello stabilimento elvetico. Ebbene la Suva aveva inviato, una settimana prima dell’incontro pubblico, una lettera all’associazione familiari dicendo di smetterla di mettere in giro voci su morti e malattie all’Eternit. E un giorno prima – continua – l’amministratore delegato dell’azienda aveva ‘consigliato’ ai dipendenti di non partecipare all’assemblea, se non volevano mettere a rischio il loro lavoro». Insomma, insiste l’avvocato Bonetto, un clima assai intimidatorio. In Svizzera la Eternit ha ancora due stabilimenti (a Niederurden e Payerne), per un totale di 1.250 dipendenti circa. «Il giorno dell’assemblea si è presentato soltanto un pensionato di 71 anni accompagnato dal capo personale». L’ex dipendente ha spiegato di aver lavorato alla Eternit per quarant’anni e di godere di perfetta salute. E lo stesso, ha aggiunto, era successo a suo padre. «In realtà nello stabilimento – dice ancora Bonetto – non è cambiato nulla. Certo non si lavora più esposti all’amianto, ma questo non basta».
Il procedimento torinese è solo uno dei tanti procedimenti giudiziari che si sono svolti in Italia per le morti causate dalle lavorazioni di materiali contenenti amianto. L’indagine è stata aperta nel 2003 ma è molto lunga, soprattutto perché ci vuole molto tengo ad analizzare la posizione sanitaria di tutti i dipendenti.
Il 30 marzo scorso, dopo anni di bonifica, a Casale sono iniziati i lavori di demolizione dello stabilimento Eternit, che si estende per una superficie di 100mila metri quadrati. «Ma il dato su cui riflettere – conclude l’avvocato Bonetto – è purtroppo un altro. Negli ultimi tre anni l’uso di amianto è aumentato. Una quarantina di paesi ne hanno vietato l’utilizzo, ma paesi come Cina, India, Turchia, Russia, Brasile, Canada ne fanno ancora uso. E anzi hanno aumentato il consumo».