“Bielorussia 2009: rimettiamo le cose nel giusto ordine”

La visita del Presidente del Consiglio a Minsk non poteva non suscitare polemiche e reazioni “indignate”. Pur di contestare ogni scelta di politica estera del governo Berlusconi, anche quando si tratti di una continuazione di quella iniziata dal tandem Prodi – D’Alema, non si è esitato da parte di alcuni esponenti politici e di quotidiani e mezzi di disinformazione vari a condurre una vera e propria aggressione mediatica nei confronti del Presidente Lukashenko, definito in vario modo come “ultimo dittatore in Europa”, “personaggio impresentabile nel mondo delle democrazie” (sic!), sino all’epiteto di “dinosauro bielorusso”, con riferimento al fatto che in Bielorussia si è mantenuto – più che nelle altre repubbliche dell’ex URSS e nella stessa Federazione russa – un assetto giuridico-proprietario molto più vicino a quello “sovietico” anziché al modello “suggerito” o imposto dal FMI altrove. Il che però non ha impedito alla stessa Bielorussia, stante la tenuta economico-finanziaria e l’affidabilità del contraente, di ottenere recentemente dallo stesso Fondo Monetario un finanziamento di tre miliardi di dollari, senza quindi alcuna concessione sul piano delle scelte nazionali effettuate volte ad assicurare una forte presenza statale nell’economia. In Bielorussia infatti l’80% delle aziende restano pubbliche. Le imprese statali sono riuscite, una volta rimodernate, a stare sul mercato esportando trattori, camion, macchinari, prodotti chimici, legnami, prodotti alimentari. L’agricoltura e l’industria alimentare svolgono anch’esse un ruolo importante. Le fattorie collettive assicurano un buon livello di crescita. Lo stesso Lukashenko è stato a suo tempo direttore di un kolchoz. Solo il 20% circa delle aziende attualmente rimane all’iniziativa privata a seguito delle privatizzazioni intervenute dopo il ‘91, per la verità queste ultime molto più contenute e caute rispetto a quanto avvenuto nell’area post sovietica e dell’Europa orientale. E va ricordato che in Bielorussia vige anche la clausola del “golden share” per le imprese private di ex proprietà statale, ove si dovesse registrare una congiuntura economica non favorevole con una specifica previsione quindi di una interferenza statale nel funzionamento di queste imprese. Tutto questo ha fatto sì che la disoccupazione in Bielorussia sia ridotta ad un minimo tollerabile. Il debito pubblico è quasi nullo malgrado i riflessi negativi della crisi economico finanziaria mondiale che ha imperversato. Tra la comunità slava presente in Italia, costretta spesso ad umili lavori nonostante l’elevato livello di scolarizzazione, è sincera ed ampia l’ammirazione per la Bielorussia, che offre tranquillità sociale ed economica rispetto allo sfacelo delle altre repubbliche ex sovietiche, specialmente dell’Ucraina. In Bielorussia infatti è costantemente scesa dal 2002 in poi la percentuale di cittadini sotto la soglia di povertà. Il tasso di crescita annuo dal 1996 si mantiene alto, come quello cinese. Il livello culturale è elevato, la criminalità è quasi inesistente,lo stato sociale è efficiente e funziona egregiamente, come gli stessi osservatori del FMI e della Banca Mondiale hanno dovuto constatare. Si ironizza sul larghissimo consenso di cui gode Lukashenko, ma non ci si chiede perché in Bielorussia non si è ripetuto il copione che è stato sperimentato in Georgia ed in Ukraina. Perché questo consenso così ampio? Perché ancora nell’ultima competizione elettorale del 2006 il leader 10 dell’opposizione Milinkevich, ancorché sostenuto da una decina di partiti, ha avuto un misero risultato? Persino l’OSCE, particolarmente rigorosa e severa nell’analisi del voto nei confronti della Bielorussia, a differenza di quanto espresso in analoghe circostanze per altri paesi dell’Europa orientale, è stata costretta a ripiegare su un giudizio, che non mette in discussione lo svolgimento procedurale e tecnico delle elezioni, quanto “l’assenza di presupposti legislativi e politici” per la tenuta di libere elezioni. Chi è stato osservatore per conto dell’OSCE sa bene come il giudizio dell’Organizzazione sia pre-costruito e che in una repubblica presidenziale, come quella vigente in Bielorussia, ove il Presidente è eletto a suffragio universale, nomina il Governo, comanda le forze armate, può emanare decreti aventi immediata forza di legge, il vantaggio del candidato uscente in termini di visibilità è inevitabilmente preponderante rispetto ad altri candidati in competizione. Ma le basi del reale consenso di cui beneficia Lukashenko non risiedono in questo, bensì nella politica sociale e di pace che manda avanti. La Bielorussia è un paese di transito, che tra l’altro aderisce alla Partnership for peace, e che oltre che con la Federazione russa intrattiene relazioni commerciali con la Polonia, la Lituania e con tanti altri paesi della U.E. e del mondo. E’ stata riammessa da tempo nell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE ed è membro di numerose organizzazioni internazionali. La verità è che l’azione sin qui perseguita dagli USA, volta a “promuovere la democrazia in Bielorussia” con la conseguente campagna di demonizzazione di Lukashenko, nasce non solo da pregiudizi di carattere ideologico, ma anche dalle scelte concrete di politica estera della Bielorussia, che ha assunto una posizione contraria all’allargamento della NATO ad est, denunciandone l’aggressione alla Serbia, e che si è schierata sin dall’inizio contro la guerra all’Iraq, venendo accusata tra l’altro di aver fornito armi a Saddam Hussein e ad altri paesi invisi agli USA, il che si è dimostrato del tutto falso. Ma in questi ultimi tempi l’atteggiamento di alcuni paesi della UE progressivamente viene cambiando e sta prevalendo qua e là un maggiore realismo politico verso la Bielorussia. La stessa UE ha tolto il divieto di ingresso nel suo territorio a Lukashenko. D’altra parte con la fine della presidenza Bush la politica statunitense tesa all’isolamento internazionale del governo Lukashenko si sta allentando. Il “Belarus Democracy Act” approvato dal Congresso degli Stati Uniti quattro anni fa – che prevedeva varie sanzioni contro la Bielorussia, tra cui la sospensione di ogni forma di credito o di assistenza finanziaria sul piano bilaterale e multilaterale, nonché misure di sostegno alle forze di opposizione a Lukashenko – resta in vigore, ma è destinato a fare i conti con la realtà della nuova situazione geopolitica del continente europeo. Da parte sua la Bielorussia, che ha sin qui ottenuto il petrolio russo ad un prezzo inferiore a quello di mercato e che si sforza di ridurre la propria dipendenza dalle forniture energetiche, ricerca, fermo restando il legame con la Federazione Russa, spazi di autonomia aprendosi maggiormente agli investimenti stranieri ed agli accordi economici e di cooperazione con i paesi della Unione Europea, nel comune interesse della sicurezza e dello sviluppo economico e sociale.

*resp. Economia PdCI

fonte: OLTRE CONFINE NUMERO 40 DEL 10 dicembre 2009