Bertolt Brecht: “Ma Strehler lo rese troppo piacevole”

Per lungo tempo Bertolt Brecht è stata la reliquia della sinistra. Un esempio di marxismo vigoroso; un modello di pacifismo integrale; un punto di riferimento per quegli intellettuali che nelle poesie e nei drammi cercavano l´impegno oltre che la gratificazione artistica. Poi – con la caduta del comunismo e la crisi del marxismo – anche la sua figura è sbiadita, fino a scomparire dai dibattiti culturali degli ultimi anni e dall´interesse della gente. In Italia la fortuna di Brecht fu solida e duratura grazie al teatro di Giorgio Strehler e a personaggi come Franco Fortini e Cesare Cases, che furono interpreti eccellenti delle sue poesie e dei suoi drammi. Un altro lettore d´eccezione che può vantare una lunga frequentazione con i testi brechtiani è Edoardo Sanguineti.
Professor Sanguineti a quando risale il suo primo contatto con Brecht?
«All´immediato dopoguerra, prima attraverso le pagine culturali dell´Unità – allora dirette da Raf Vallone – e poi con la rivista Il Politecnico. E quello che lessi, le poesie giovanili, mi fece un´enorme impressione».
Che cosa la colpiva di quei versi?
«Erano testi che risuonavano di una forza sconosciuta. Durante gli anni del fascismo alcuni di noi erano riusciti ad accostarsi con qualche difficoltà a poeti come Lorca e perfino alle avanguardie, cioè a scrittori invisi al regime; ma Brecht non aveva sfondato il muro della censura. Per cui quando lo lessi la sorpresa fu enorme: mi parve di un altro pianeta. I suoi versi rivelavano una durezza e una portata ideologica a me sconosciute. Le sue poesie mi sembravano a un tempo semplici, forti e crudeli».
Ci ritrovava l´atmosfera del realismo marxista?
«No. In quegli anni preferivo le posizioni anarchiche a quelle marxiste. Sentivo nei suoi testi il sapore della cosiddetta arte degenerata. Scorgevo in lui il poeta anarco-espressionista».
Più scrittura provocatoria che programma ideologico?
«Non saprei dire. Anche perché ci accostavamo ai suoi lavori in modo frammentario. Non ricordo allora un´edizione delle sue opere. Quello che si leggeva era pubblicato in modo rapsodico. Diverso fu, in seguito, l´impatto con il teatro. Fu il Piccolo di Milano a rappresentare L´opera da tre soldi, con la regia di Giorgio Strehler. Un evento che in molti considerarono epocale. Io stesso, quando vidi lo spettacolo a Torino, rimasi enormemente colpito».
Lo stesso Brecht, mi pare, si congratulò con Strehler per la regia.
«È vero, anche perché egli intuì che il Piccolo gli avrebbe aperto il successo non solo in Italia ma in larga parte dell´Europa occidentale».
Sta dicendo che non era pienamente convinto della realizzazione strehleriana, ma che si guardò bene dal dirlo?
«Evitò di esprimere dissensi e riserve che pure in un altro momento e in un altro luogo avrebbe avanzato».
Eppure a lei era piaciuta la lettura datane da Strehler.
«È vero. Ma dopo l´emozione che provai al primo impatto, nel ripensamento successivo il successo strehleriano mi parve dubbio».
Cosa non la convinceva?
«Principalmente il fatto che L´opera da tre soldi era diventato un testo gastronomicamente piacevole, inoffensivo, incapace di dividere il pubblico. E guardi che se c´è un punto sul quale Brecht ha sempre insistito è che qualunque cosa avvenga sul palcoscenico deve dividere il pubblico, non gratificarlo».
Era la lezione del teatro epico. Ma, per quello che riferiscono le cronache di allora, l´impatto dell´Opera da tre soldi fu comunque di grande provocazione.
«Strehler sfruttava la volontà masochista del pubblico borghese. Quel piacere inconscio di sentirsi schiaffeggiati. Il brivido che egli trasmetteva era simile a quello, per fare un esempio, che alcune signore provano, nel film di Duvivier Pépé le Moko, quando entrano nella casba. Ecco, Strehler aveva, se è possibile, casbizzato Brecht, preferendo la voluttà dello choc alla grande durezza e rigore del testo».
Diciamo che ha lasciato troppo sullo sfondo i grovigli ideologici?
«Io non credo che entrando dalla porta dell´ideologia si migliori la lettura di Brecht».
Eppure l´aspetto ideologico e culturale, il brechtismo come sinonimo di impegno, fu esaltato dal partito comunista italiano.
«Nessuno in Italia è diventato comunista per aver letto Brecht. Del resto piaceva molto di più a un certo socialismo radicale. E mi pare sintomatico che un antisovietico come Franco Fortini, che fu peraltro uno dei più importanti traduttori di Brecht, si fosse lasciato totalmente sedurre dai suoi scritti».
Era la moralità brechtiana ad attrarre Fortini?
«Non c´è dubbio, anche se alla fine fu il radicalismo, quell´anarco-espressionismo cui accennavo prima, a prendere il sopravvento».
E in che misura Brecht è stato marxista?
«Il radicalismo brechtiano troverà una sponda nel marxismo tedesco degli anni Venti, nel giovane Lukács e soprattutto in Karl Korsch».
E Walter Benjamin?
«Il rapporto fu tra loro diretto e fondamentale, sebbene non privo di controversie. Brecht era molto diffidente verso il misticismo di Benjamin. Non poteva accettarlo neppure come allegoria. Ma Benjamin secondo me è quello che gli ha dedicato il saggio più acuto. Stupenda la frase che ritroviamo nei Commenti ad alcune liriche di Brecht: “Non si brucia ciò che prima si adorava”, intendendo che tra il primo e il secondo Brecht c´era molta più continuità che rottura».
Come rileggere oggi Brecht?
«Adeguando il suo teatro alle forme comunicative di oggi».
Le sue teorie intorno allo “straniamento” che fine hanno fatto?
«Lo straniamento non può essere una formula ma una direzione di lavoro. La funzione della rottura epica, lo spezzare il racconto, rientra nei principi che vanno applicati in modo nuovo. Il sonoro e il digitale, per fare un solo esempio, rivestono un´importanza sconosciuta in passato».
Resta la forza del classico?
«Brecht detestava il cosiddetto approccio classico. Un tema a lui caro ere la lotta contro l´uso intimidatorio dei classici. Rileggiamolo eliminando il residuo di aura che lo avvolge. Non so come sia attualmente la situazione dei testi brechtiani, ma se dovessi consigliare un testo non partirei né dal poeta né dall´uomo di teatro. Ma dal Libro delle svolte o dalle Storie da calendario, o dall´Abc della guerra. È il Brecht più polemico, demistificante e pieno di humour che si possa immaginare. È stato un grande scrittore satirico, come del resto fu Marx».
Vuole indirettamente dire che il suo teatro è oggi datato?
«No, il suo teatro semplicemente è più facile da fraintendere e da museificare».