Vive Marx (alla grande, nello Statuto), vivacchia Gramsci (alla meno peggio, nelle Tesi). Con molto peso a Carlo (così lo scrive Bertinotti) e un contentino ad Antonio, il leader di Rifondazione comunista ha provato a chiudere la polemica che si è aperta nel partito in vista del congresso, dopo che il Comitato politico nazionale ha respinto la proposta della Commissione statuto, che chiedeva di inserire, oltre il riferimento a Marx, per l’appunto anche quello a Gramsci e a Lenin. Ma il tentativo di spegnere la polemica non è riuscito. L’altro giorno, su Liberazione, l’ha rilanciato alla grande Claudio Grassi, esponente dell’ala “ortodossa”, annunciando battaglia nei prossimi congressi di sezione e di federazione. La faccenda, presa un po’ ironicamente dai giornali, in realtà nasconde uno scontro sul futuro di Rifondazione. Che Bertinotti, replicando sul giornale del partito a Michele, “un compagno fedele, ma un po’ deluso”, disegna così: “Liberare il marxismo dai marxismi successivi, senza per questo dimenticarli o scomu siamo dentro. E nessuno deve farci analisi ideologiche”. Gli uomini del segretario, nonostante l’avvertimento di Grassi, non vedono “alcuno sviluppo” nella diatriba marxista-leninista-gramsciana. Annotano: “Verrà riproposto al congresso, si voterà e sarà battuto”. E anzi, alcuni di loro, liquidano con parole di fuoco la proposta che era stata formulata dalla Commissione statuto. Racconta Mantovani: “Inopportuno riesumare la tradizione di ridurre il marxismo a un catechismo e i pensatori rivoluzionari a dei santini da esporre. La commissione ha tentato una via unitaria, ma è venuto fuori un pasticcio tale che Bertinotti ha dovuto presentare uno scritto suo”. E spiega Vendola: “Un preambolo di uno statuto deve indicare i soggetti sociali a cui ci si rivolge e gli elementi del progetto. Il preambolo preparato appariva un po’ tetro, un mausoleo sepolcrale, un po’ supermarket ideologico”. E metti le donne e metti Lenin, metti Gramsci e non dimenticare Marx, e peccato solo per Engels, sempre si rischia “un’operazione incompleta: io non ci trovavo alcuni miei riferimenti ideologici, come il Che o Rosa Luxemburg. Non riesco a definirmi leninista più di quanto riesca a dirmi maoista o guevarista”. Per la strategia bertinottiana si tratta di “coniugare innovazione e rivoluzione”, come su Liberazione ha spiegato, per conto del segretario e in polemica con Grassi, Patrizia Sentinelli, incaricata dei rapporti tra il partito e i no global, la prospettiva più vicina e più possibile. No global che almeno, si fa notare, rispetto all’Urss hanno il vantaggio di essere vivi. La battaglia ci sarà, ammettono entrambi i fronti, e se quelli che invocano Gramsci annunciano che non molleranno, quelli che si accontentano di Marx fanno altrettanto. E forse l’attenzione al movimento Bertinotti la confermerà anche con la scelta della sede del congresso di aprile: Genova, in memoria dei giorni del G8. Intanto ai compagni non resta che tuffarsi nella lettura dello “speciale” che Liberazione dedicherà domenica al congresso: ottanta pagine ottanta dove magari Marx lascerà un posticino pure a Lenin. nicarli, ma per compiere la nostra necessaria opera di costruzione di un pensiero all’altezza delle condizioni date”. Insomma, nell’orizzonte del leader c’è il movimento no global. Oltre al ruolo che, sospettano gli “ortodossi”, gioca la sua tendenza di antico massimalista socialista. Tendenza che mette in grande allarme Grassi come Gianluigi Pegolo come Fausto Sorini, oggi riuniti intorno alla rivista L’Ernesto (Che Guevara). E se Bertinotti è un po’ criptico nella sua risposta al compagno Michele, Nichi Vendola spiega la questione del rapporto con i no global in termini, oltre che politicamente più chiari, anche idrogeologicamente più definiti: “Oggi questo partito, anche per il senso delle sue dimensioni, si considera un pezzo di quel fiume, e neanche quello con le acque più cristalline. E con gli altri componenti cerchiamo il nostro letto e il nostro estuario”. E un altro bertinottiano, Ramon Mantovani, responsabile Esteri, punta l’indice sulla “parte di Rifondazione ortodossa e dogmatica”. Precisa: “Noi siamo già nel movimento. Non ci dobbiamo federare, siamo dentro. E nessuno deve farci analisi ideologiche”. Gli uomini del segretario, nonostante l’avvertimento di Grassi, non vedono “alcuno sviluppo” nella diatriba marxista-leninista-gramsciana. Annotano: “Verrà riproposto al congresso, si voterà e sarà battuto”. E anzi, alcuni di loro, liquidano con parole di fuoco la proposta che era stata formulata dalla Commissione statuto. Racconta Mantovani: “Inopportuno riesumare la tradizione di ridurre il marxismo a un catechismo e i pensatori rivoluzionari a dei santini da esporre. La commissione ha tentato una via unitaria, ma è venuto fuori un pasticcio tale che Bertinotti ha dovuto presentare uno scritto suo”. E spiega Vendola: “Un preambolo di uno statuto deve indicare i soggetti sociali a cui ci si rivolge e gli elementi del progetto. Il preambolo preparato appariva un po’ tetro, un mausoleo sepolcrale, un po’ supermarket ideologico”. E metti le donne e metti Lenin, metti Gramsci e non dimenticare Marx, e peccato solo per Engels, sempre si rischia “un’operazione incompleta: io non ci trovavo alcuni miei riferimenti ideologici, come il Che o Rosa Luxemburg. Non riesco a definirmi leninista più di quanto riesca a dirmi maoista o guevarista”. Per la strategia bertinottiana si tratta di “coniugare innovazione e rivoluzione”, come su Liberazione ha spiegato, per conto del segretario e in polemica con Grassi, Patrizia Sentinelli, incaricata dei rapporti tra il partito e i no global, la prospettiva più vicina e più possibile. No global che almeno, si fa notare, rispetto all’Urss hanno il vantaggio di essere vivi. La battaglia ci sarà, ammettono entrambi i fronti, e se quelli che invocano Gramsci annunciano che non molleranno, quelli che si accontentano di Marx fanno altrettanto. E forse l’attenzione al movimento Bertinotti la confermerà anche con la scelta della sede del congresso di aprile: Genova, in memoria dei giorni del G8. Intanto ai compagni non resta che tuffarsi nella lettura dello “speciale” che Liberazione dedicherà domenica al congresso: ottanta pagine ottanta dove magari Marx lascerà un posticino pure a Lenin.