No, Bertinotti non vuole ripetere «pari pari», come dice Mastella, quel che è accaduto nel 1998. Eppure il suo giudizio su Romano Prodi come capo di governo è più netto che mai. «Di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente…», ha detto ieri a Repubblica in un’intervista che lasciava pochi margini ai dubbi. Per poi aggiungere, coi suoi: «Rettifico: Prodi non è un poeta…». Insomma agli occhi del padre nobile della sinistra massimalista, il Professore è politicamente parlando un dead man walking. E la fiducia al decreto sul Welfare è stata l’ultima conferma che il “condannato” non è nemmeno più in grado di farsi carico delle richieste della sinistra. Concetto che del resto anche il segretario Franco Giordano ieri si è incaricato di ricordare: «Prodi ha detto di essere garante della coalizione sulla legge elettorale, ma doveva pensarci prima. Avrei preferito si facesse garante su cose importanti e delicate come i temi economici e sociali».
Però, come si diceva, Bertinotti non vuole ripetere il ’98, ossia rendersi responsabile della caduta del governo Prodi e del ritorno di Berlusconi. Con la durissima intervista di ieri a Repubblica, il presidente della Camera ha semplicemente preso atto della necessità (soprattutto elettorale, perché la base da tempo è scontenta della linea del Prc) di smetterla di stare dalla parte di Prodi, e ha per così dire marcato col temperino quei passaggi che il dibattito politico a sinistra già aveva annunciato: consultazione con la base elettorale, verifica di governo, eventuale referendum finale sul compromesso raggiunto. Con la differenza che, in questo caso, Bertinotti ha fatto esplicitamente baluginare la prospettiva dell’«autonomia», parolina magica che ieri ha scatenato il finimondo proprio nella Cosa Rossa. Già, perché è chiaro che consultazioni e verifiche non arriveranno prima di gennaio-febbraio: e per allora sarà chiaro se la nuova legge elettorale di cui si parla in questi giorni stia o meno per diventare realtà. Avendo recuperato il «diritto di tornare all’opposizione», Rifondazione potrà dunque liberamente decidere di “sganciarsi” tatticamente da Prodi, avendo come strategia di medio periodo quella tornare in «sintonia» col proprio elettorato senza essere costretta mani e piedi al mestieraccio del governo.
La logica del discorso bertinottiano, per quanto nascosta sotto la pretesa di non aver detto in fondo «nullia di nuovo», non fa dunque una piega. Ma per non ripetere il ’98, Rifondazione dovrebbe coinvolgere in questo discorso autonomista tutta la sinistra massimalista. Il primo atto della Cosa rossa, secondo questo discorso, dovrebbe essere proprio quello di “autonomizzarsi” da Prodi. Ma il disegno si infrange proprio qui. Perché, come è stato chiaro dalle reazioni dei rispettivi leader, Sinistra democratica, Pdci e Verdi non hanno nessuna intenzione di seguire Bertinotti su questa strada. O meglio, precisano dentro Rifondazione, non vogliono «farsi egemonizzare» da Fausto il rosso. La questione del come stare al governo, infatti, si sta pericolosamente intrecciando con gli Stati generali della sinistra massimalista previsti per il prossimo fine settimana. Non a caso, dopo un pomeriggio di fibrillazioni, i leader hanno deciso di vedersi già stamattina per un chiarimento, negli uffici di Rifondazione alla Camera. E gli stracci hanno già cominciato a volare.