L’onorevole Bertinotti, c’è schiarita nei suoi rapporti personali e politici con D’Alema?
II rapporto personale, anche nei momenti dello scontro più aspro, non è mai mancato. Si possono avere anche dissensi violentissimi ma i sistemi di relazione rimangono, grazie ad una storia condivisa che parte dalla comune esperienza all’interno del Pci; sono troppi gli elementi di memoria comune. La consuetudine significa rispetto reciproco e una dose di prevedibilità, su alcuni punti io immagino quello che lui pensa e viceversa. D’Alema, a partire dalla guerra in Iraq, ha iniziato ad ammettere il fallimento della terza via teorizzata qualche anno fa con Clinton e Blair.
Alla fine vi hanno dato ragione?
Vi è un riposizionamelo significativo sulla globalizzazione, cioè sul processo di modernizzazione. L’abbandono della terza via è significativo perché determina, come D’Alema ha detto, una problematica su cui ci si può interrogare, tra diversi, in comune. Prima c’era una diversità di fondo non solo sulla soluzione, ma sull’ordine stesso dei problemi, negli anni di governo del centrosinistra, anche quando eravamo nella stessa maggioranza, c’era una diversità di analisi perché noi sostenevamo la regressività di questa modemizzazione; per la prima volta nella storia contemporanea l’innovazione si separava dal progresso sociale e, anzi, lo contraddiceva intrinsecamente. Loro hanno invece pensato che la globalizzazione regolata potesse essere una modernizzazione progressiva. In questo quadro le convergenze potevano essere cercate solamente su obiettivi limitati. Mi pare che questa apertura di una posizione critica sulla modernizzazione sia davvero importante.
Tutto merito del movimenti?
Tre sono gli elementi importanti. La crisi della globalizzazione con i corollari del disastro economico mondiale e la guerra gestita dai neoconservatori americani. C’è poi l’ascesa dei governi della destra in molti paesi e soprattutto nella capitale dell’impero.
Terzo elemento è la crescita dei movimenti, dai new global ai pacifisti, dai girotondi ai sindacati, che hanno cambiato il panorama sociale. La durezza dello scontro resta, non dimentichiamo che la Fiom sta facendo una lotta nazionale contro il contratto separato, anche se la politica sembra non accorgersene.
II vecchio slogan “Battere le destre” sembra ormai in soffitta. A che tipo di accordo state lavorando per battere Berlusconi?
Se anche un uomo come Alfredo Reichlin dice che finora abbiamo discusso di governabilità quando il problema è la democrazia del paese perché Berlusconi non è una parentesi, allora vuol dire davvero che si sta aprendo una fase nuova. Poi si può anche continuare a litigare su tanti punti, ma l’ottica è finalmente diversa.
Da quali punti inizierete?
Dalla riapertura della questione salariale nella sua accezione più larga non come misura risolutiva, ma come punto di svolta. Quando il sociologo Luciano Gallino dice che nell’ultimo decennio c’è stata una diminuzione del 18,5 per cento del costo di lavoro per unità di prodotto e circa il 9 per cento del Pil che va dai salari al profitto, dice che c’è bisogno di riconsiderare la questione salariale. C’è poi la ricostruzione di uno spazio pubblico e la presa d’atto della crisi delle politiche di privatizzazione. Il welfare e la questione distributiva sono l’altra faccia della democrazia.
Nel’96 le 35 ore, oggi la questione salariale. È il nuovo “ricatto” di Bertinotti?
No, perché è cambiato il quadro. Allora eravamo distantissimi e noi dovevamo ottenere qualche risultato significativo. Tra Rifondazione e il centrosinistra esisteva un braccio di ferro, se non passi rompi. Ora il rapporto non è tra due, ma tra molti. II centrosinistra non è un’entità compatta e unitaria ma una realtà plurale e articolata e resa ancora più complessa dalla crescita dei movimenti. Noi vogliamo essere dentro questo processo di discussione fra molti.
Come costruirete il programma?
A partire dagli stati generali dell’opposizione in cui ci siano anche i movimenti e l’associazionismo. Rompere la gabbia partitica è un punto essenziale.
Come affrontare la questione della guerra?
Applicando alla lettera l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”.
Cosa pensa della proposta di lista comune del centrosinistra alle europee e di un futuro partito riformista?
La lista mi pare una replica vecchia a problemi nuovi. In un panorama sociale e politico cosi diverso tornare al centrosinistra delle origini mi sembra un’idea totalmente spiazzante. La sceltaa di costruire il partito riformista, che naturalmente non ci coinvolge, può essere invece un tentativo positivo di queste forze di confrontarsi con i nuovi problemi esistenti. lo continuo a pensare che la globalizzazione neghi uno spazio al riformismo, ma per chi ci crede sarebbe un tentativo all’altezza della sfida. Se ci provassero sarebbe un elemento di dinamizzazione del dibattito politico italiano.
Bertinotti, non è che in fondo pensa che con la nascita del partito riformista una parte di voti della sinistra potrebbero arrivare a Rifondazione?
Non è questo. Credo invece che quella tra riformisti e alternativi sia la sfida del nostro tempo. I passeri coi passeri, i merli con i merli, dopo di che passeri e merli provano a discutere tra loro.
Ha incontrato Prodi recentemente?
No.
Da quanto?
Non tengo la contabilità anche se contatti con lui non sono mai mancati.
Come valuta la sua candidatura a Leader?
Senza pregiudiziali. Non credo che dobbiamo concentrare l’attenzione sul candidato premier ma partire dalla definizione di un programma. Dobbiamo fare un’operazione di igiene politica e non cadere nel vizio presidenzialista in cui ci vogliono portare.