E anche la Cosa rossa si acconcia a trattare. E su un terreno, la sicurezza, non esattamente congeniale alla propria storia, tradizione e cultura politica. «Se accolgono almeno due nostre richieste si può procedere e la maggioranza può stare tranquilla», annuncia Giovanni Russo Spena, capogruppo al Senato di Rifondazione e da sempre attento all’anima garantista della sinistra. Due richieste che si riassumono in due emendamenti: niente espulsioni di massa e no al rimpatrio obbligatorio dello straniero senza lavoro «che sarebbe come dire disoccupato uguale delinquente», sottolinea Russo Spena. «Noi con la Cdl e con Fini che propone le deportazioni di massa non abbiamo alcuna intenzione di trattare, puntiamo piuttosto a una posizione comune come maggioranza, e contiamo di riuscirci», annuncia speranzoso il capogruppo. Che cosa è successo? E’accaduto che Fausto Bertinotti parlò. E per dire cose nuove e a suo modo di svolta per un certo modo di ragionare a sinistra. Pur all’interno di distinguo e raccomandazioni e inviti a non scordarsi dei poveri ediseredati, tuttavia il presidente della Camera che a Otto e mezzo ha parlato più come Fausto il rosso che come Fausto l’istituzionale ha scandito alcuni concetti nuovi. La premessa: «Non nego che i flussi migratori creino problemi», ma stiamo attenti all’«ondata emergenzialista» che come già si è visto non risolve ìproblemi. Ma è il secondo concetto che ha fatto riflettere partiti e parti tini della Cosa rossa, laddove il presidente dice
che tutta la sinistra «deve fare autocritica» sul tema della sicurezza, in special modo perché «ha sottovalutato il carattere devastante della violenza e di ogni complicità con essa, e deve fare autocritica per aver pensato che esista una violenza buona». La svolta anti-violenza bertinottiana, che data ormai da alcuni anni, applicata al tema sicurezza diventa occasione di ripensamenti e di condotte nuove in materia. Raccontano che sia stato proprio Bertinotti a spìngere, non si sa se anche a convincere, il ministro Paolo Ferrero a dire sì al decreto sicurezza fortissimamente voluto da Walter Veltroni. E dopo l’uscita a Otto e mezzo nei gruppi parlamentari della Cosa rossa, dove Fabio Mussi il suo sì al decreto l’ha dato senza bisogno di operazioni convincimento, si è cominciato a ragionare in maniera diversa. Anche perché, facevano notare dalle parti di Rifondazione, «se anche alla fine il decreto non dovesse passare non è che c’è la crisi di governo, è un tema che non sta nel programma, non vincola e non è vincolante». «Mah, mi sembrano ragionamenti che non tengono conto di quel che avviene fuori del Palazzo», si limitava a commentare senza gettare benzina sul fuoco Giulio Santagata. il ministro prodiano guardiano del programma.
IIproblema ha contribuito a risolverlo la stessa Cdl chiudendo ogni porta e finestra al dialogo con la maggioranza. «Ci hanno tolto le castagne dal fuoco», chiosa Clemente Mastella alla buvette del Senato in attesa delle votazioni sulla finanziaria, per una volta senza cardioDalma ver l’Unione. L’analisi del Guardasigilli è che «Fini ormai ragiona oltre l’oggi, ha capito che di spallate non c’è traccia e che quindi il problema della leadership nel centrodestra si fa strìngente, se avessero aperto al dialogo ci avrebbero messo in difficoltà con la sinistra radicale, ma così andiamo avanti tranquilli». Proprio tranquilli magari no. se ad esempio si ascolta Cesare Salvi che piomba anche lui alla buvette e arringa: «Veltroni ha tacciato un intero popolo di essere dei delinquenti, se l’è presa con i rom, ma come si fa. no, non ci sto, la sinistra deve essere e rimanere garantista, ha ragione la Bonino». In serata però, all’assemblea dei senatori di Rifondazione e di Sinistra democratica, altri i toni e gli accenti, altre le preoccupazioni. La Cosa rossa abbandona le barricate e sceglie la trattativa.