ROMA – Fausto Bertinotti è appena tornato dal Brasile. Prima a Porto Alegre, dove ha raccolto gli applausi dei campesinos , e poi a Ri o, per delle riunioni politiche. E’ riuscito a resistere alle tentazioni del carnevale e alla fiesta ha preferito il ritorno in Italia, richiamato dai doveri di nonno, ieri il nipotino compiva sei anni, e di segretario di Rifondazione. E si trova subito alle prese con l’appello di Francesco Rutelli che propone di allargare l’Ulivo e di fare alleanze con chi vuole battere la destra. Ecco, è possibile un’intesa a partire dalle amministrative di maggio? «E’ dannoso fare violenza alle scadenze politiche. L’idea per la quale si deve competere con le destre in un quadro crescentemente plebiscitario e fondato sull’alternanza personalizzata si è già rivelata catastrofica. Se anche le amministrative diventano un referendum su Berlusconi, allora si tratta proprio di una coazione a perdere. Le amministrative sono invece l’occasione per far vivere l’Italia delle cento città e dare fiato a quell’articolazione della società civile che nemmeno la vittoria della destra ha cancellato».
E’ un no all’appello di Rutelli?
«E’ un’altra idea della politica. Nelle elezioni amministrative anche nel periodo più aspro dello scontro abbiamo fatto delle alleanze e abbiamo vinto, a Roma come a Napoli. Io sono per ricercare le alleanze su una piattaforma qualificata. A Porto Alegre c’erano anche alcuni amministratori ds come Walter Veltroni. Di lì è uscito un documento generale fondato sulla partecipazione e sul no alla guerra: partiamo da questo e vediamo se nelle specificità delle singole città è possibile una convergenza. Local e global, ispirazione globale e radici locali».
E sul piano strategico?
«Dico un sì e un no. Il no è ad un’idea di allargamento dell’Ulivo. Il centrosinistra ha fallito. E’ un’esperienza chiusa, un morto che cammina. Lo dico senza alterigia ma con lucidità analitica. Era l’idea che fosse possibile governare la globalizzazione regolamentandola in un’ipotesi di sviluppo accettabile. Il governo D’Alema è stato l’apoteosi di questo percorso. Ebbene, un tale schema non regge più. La crisi economica incombe. La guerra è diventata una condizione permanente. Il pensiero unico vacilla e, come dimostra Porto Alegre, sta sorgendo “il movimento dei movimenti” con la sua critica radicale alla globalizzazione capitalistica. E allora perché dovremmo fare un’alleanza strategica con il centrosinistra? Perché dovremmo acconciarci a che il morto mangi il vivo?».
Se queste sono le ragioni del no a Rutelli, si fa fatica a pensare quali possano essere quelle del sì.
«Il sì è la costruzione di una piattaforma delle opposizioni al governo Berlusconi. Il movimento Attac sta promuovendo una legge popolare che introduca la Tobin tax, cioè un forma di tassazione delle transazioni finanziarie. Il centrosinistra è disposto a raccogliere le firme assieme a noi? E in una nuova stagione referendaria e di movimento dal basso, possiamo fare una battaglia fianco a fianco per abrogare la legge sulle rogatorie? Ancora. Nel momento in cui gli imprenditori e il governo propugnano la libertà di licenziare, dovremmo batterci non solo per difendere l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ma per estenderne le garanzie anche alle piccole imprese. Poi c’è tutta la questione salariale. Questi sono alcuni dei possibili punti di una piattafoma comune. E’ però fondamentale che non si insegua un’inutile opera di mediazione. Esigiamo delle scelte. Non ci possono chiedere di mettere una toppa ad un vestito ormai consunto. Noi vogliamo cucire un vestito nuovo».
Dopo le elezioni del 13 maggio, di fronte alla vittoria del centrodestra, lei si disse contento dei risultati di Rifondazione. Siamo vivi, commentò. Ma in un quadro complessivo di disfatta questo è narcisismo politico.
«Il 13 maggio c’era il rischio di essere cancellati, come del resto capitò a tutte le formazioni non coalizzate. Ma ora la crisi irreversibile del neoliberismo e l’estendersi del movimento di contestazione aprono grandi orizzonti di cambiamento. Rifondazione sta in questo flusso e in Italia ha un suo peso fondamentale».
Ma in democrazia il vero peso sono i voti. E con il sistema maggioritario siete destinati a rimanare minoranza.
«Anche i sistemi elettorali possono essere cambiati».
Nostalgia del proporzionale?
«Penso che si debba tornare a quel sistema, l’unico in grado di dare rappresentanza alla complessità e alle tante diversità del Paese».
Nanni Moretti, che le rimprovera di essere il responsabile della vittoria di Berlusconi, stavolta ha sferzato i dirigenti dell’Ulivo dicendo che sono incapaci di parlare sia al cuore sia al cervello della gente.
«Non voglio rispondere a Moretti e alle sue aggressioni verbali nei miei confronti. Dico però che questo tipo di intellettuali è una corona dei Ds. Sono l’altra faccia dei politici di centrosinistra. Sferzanti nei fenomeni di costume ma corresponsabili e incapaci di una critica radicale al sistema capitalista. Da noi non ci sono né un Sartre né un Noam Chomsky».
Ma qual è il suo giudizio su Rutelli, Fassino, D’Alema? Preferirebbe dialogare con Cofferati?
«Questi sono discorsi senza senso. Quelle che contano sono le idee. Cofferati, ad esempio. All’inizio del congresso Cgil non mi era piaciuto, mi sembrava inserito in una linea di continuismo. Ma poi, in tre giorni, c’è stato un cambiamento positivo, con il rilancio dello sciopero generale. E’ una grande occasione. Una scelta ineludibile. Sono in gioco la vita o la morte del sindacato».
Non teme si possa ricreare una situazione come quella dell’84? Era proprio febbraio. Nella notte di San Valentino il taglio della scala mobile fu concordato dal governo Craxi con Cisl e Uil e rifiutato, per ragioni più politiche che sindacali, dalla Cgil.
«Ma quella era la strada da seguire. E invece, anche prima della sconfitta nel referendum, quasi pentiti, si privilegiò l’unità. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti».
Ma nelle tesi di Rifondazione, come ha notato Rossana Rossanda, si sancisce l’esaurimento di molte categorie marxiste. Il soggetto rivoluzionario non è più l’operaio ma il giovane no global…
«No, io penso che si debba tornare a Marx. E’ la chiave più significativa di interpretazione del nostro tempo. Ha introdotto la categoria alta della rivoluzione come trascendimento dell’ordine esistente. E oggi il compito della sinistra è comporre l’unità tra la classe operaia tradizionale e i nuovi soggetti critici. E’ questo il sale della terra».