BERTINOTTI: NESSUN TABU’, DIALOGO ANCHE COL POLO

Roma – Onorevole Bertinotti, è pronto a confrontarsi con Forza Italia e Udc sulla legge elettorale? O ha cambiato opinione?
«Sono un proporzionalista d’antan. Ovviamente non ho cambiato opinione».

Dunque si appresta a dialogare con il centrodestra?
«Questa è moneta falsa, francamente penso che se ne debba discutere punto e basta. Ci si confronta sul merito non in base all’interlocutore. Ogni volta che si toccano dei tabù invece di scattare il ragionamento scatta la messa in mora. Tutti cominciano a dire ma con chi vai, con chi discuti».

Demonizzano?
«Anche, e invece occorre affrontare l’argomento in modo serio».

Con Berlusconi?
«Io non penso che si debba impostare la cosa come una discussione fra “noi e loro”. Io penso a un dibattito parlamentare, sedi appropriate, senza steccati».

I migliori del centrodestra con cui dialogare?
«Le componenti di origine cattolica coltivano da sempre riserve sul maggioritario. Le ragioni della cultura cattolica tradizionalmente valorizzano i corpi intermedi. Follini come De Mita».

Le ragioni di Follini la convincono? I partiti che devono recuperare identità, preservare capacità di rappresentanza, distinguersi dal cartello elettorale.
«Quella della rivalutazione dei partiti è una tesi giusta. Non sono d’accordo sul fatto che il maggioritario li abbia liquidati. Ha contribuito, insieme alla spettacolarizzazione della politica e alla cultura presidenzialista, a ridimensionarli. A offuscare i grandi obiettivi sociali. Partiti significa essere partigiani, prendere parte, rifiutare l’omologazione. Tutto ciò che è stato organizzato dentro il maggioritario va in senso contrario. Hanno resistito quei partiti che hanno mantenuto un radicamento».

Voi?
«Noi come la Lega, capaci di mantenere un profilo identitario radicato».

Ma troppi partiti, si diceva una volta, producono danni: cinquanta governi in 50 anni, instabilità, eccetera, eccetera.
«Beh, il maggioritario è arrivato per ridurli e invece sono aumentati. Nettamente aumentati».

Ma la governabilità è in risalita.
«Non sono convinto che tanti anni significhino automaticamente buon governo. E’ un’equazione che non funziona. La qualità del governo diventa irrilevante laddove conta solo la stabilità. E’ solo un feticcio se fine a se stessa. Bisogna chiedersi se i giovani e i lavoratori stanno meglio o peggio, se il Sud ha accorciato le distanze. Io voglio domande e risposte vere, non feticci».

Perché il proporzionale dovrebbe alzare la qualità?
«Perché obbliga i partiti a pensarsi in un tempo più lungo dell’alleanza di governo. Li obbliga a dare risposte ai problemi sociali ».

Il guasto più grande del maggioritario?
«L’astensionismo: si va verso l’America, una minoranza che elegge il presidente».

Crede che avremo una nuova legge elettorale prima della fine della legislatura?
«La crisi della politica è evidente. E’ l’humus dentro il quale si è prodotto questo violento strappo costituzionale. Questa riforma cancella la Repubblica parlamentare sostituendola con il potere imperiale del premier. Il frutto estremo della cultura maggioritaria, uno degli elementi che ha demolito gli anticorpi alla cultura autoritaria».

E perché questi distruttori dovrebbero correggersi?
«Bisognerà vedere. Se il proporzionale convive con un premier che di fatto ha poteri di scioglimento della Camere non abbiamo concluso nulla. Ci vuole un sistema alla tedesca».